Non
è mai consentito al conduttore autoridursi il canone sulla base di pretesi
controcrediti: una tale condotta costituisce alterazione del sinallagma
contrattuale, determinando così uno squilibrio tra le prestazioni delle parti.
A ribadirlo è la Corte
di Cassazione, nella sentenza n. 6850/2012.
Il caso. Una donna ricorre per cassazione contro il verdetto
di secondo grado che dichiarava risolto il contratto di locazione per sua mora
nei confronti del locatore. In particolare, il giudice di seconde cure, con
riferimento alla mora per il pagamento dei canoni, escludeva la fondatezza
delle tesi difensive vertenti sulla necessità di lavori urgenti di manutenzione
straordinaria tali da giustificare il mancato saldo ed escludeva altresì la
sussistenza di un accordo verbale al riguardo per assenza probatoria. In Cassazione,
la ricorrente lamenta l’erroneità del rilievo attribuito all’anteriorità dei
lavori rispetto al rapporto. Inoltre, il giudice territoriale non avrebbe
tenuto in dovuto conto la compensazione legale tra il canone e il credito per
le riparazioni da essa anticipate.
Il giudizio di legittimità. Escluso dapprima il carattere urgente dei lavori
intrapresi dalla donna, la
Suprema Corte ribadisce come non sia mai consentito al
conduttore di ridursi per propria iniziativa il canone: l’operazione
rappresenta di fatto causa scatenante di uno squilibrio tra le prestazioni
pattuite e non può essere relazionata ad alcun tipo di pregressi lavori o di
relativo esborso operato dalla donna. E questo a prescindere dalla carenza di
prova della sussistenza dei presupposti del vantato credito, anche per la
configurabilità di una condotta di non contestazione da parte del locatore.
Infine, viene confermata la risoluzione per inadempimento del contratto di
locazione: la conduttrice non può vantare più alcun titolo «per conseguire la
condanna della sua ex controparte a condotte in forza di un contratto ormai
decaduto».
(Da avvocati.it del
7.6.2012)