mercoledì 27 giugno 2012

No reato se dipendente videosorvegliato ha prestato consenso


Cass. III Sez. Penale, Sent. 11.6.2012, n. 22611

Non commette reato l’imprenditore che videosorveglia i dipendenti, dopo avergli fatto firmare un foglio di autorizzazione. Ciò anche in assenza di un accordo con le rappresentanze sindacali. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 22611 dell’11 giugno 2012, ha assolto una imprenditrice di Pisa che aveva fatto installare due telecamere dietro a due dipendenti, previa sottoscrizione di un’autorizzazione.
Dunque, mentre fino a qualche tempo fa la giurisprudenza di legittimità aveva sempre condannato questi controlli troppo invadenti da parte dell’azienda chiedendo come requisito l’accordo con le RSU, ora è sufficiente una firma del lavoratore.
Sul punto la Terza Sezione Penale della Cassazione ha spiegato che “se è vero che la disposizione contenuta nell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori intende tutelare i lavoratori contro forme subdole di controllo della loro attività da parte del datore di lavoro e che tale rischio viene escluso in presenza di un consenso di organismi di categoria rappresentativi (RSU o commissione interna), a maggior ragione, tale consenso deve essere considerato validamente prestato quando promani proprio da tutti i dipendenti”.
Secondo la Cassazione quanto sopra non è neppure in contrasto con la enunciazione della medesima Cassazione (Sezione Terza, 15 dicembre 2006), secondo cui integrano il reato di cui agli articoli 4 e 38 Legge 300/70 anche gli impianti audiovisivi non occulti essendo sufficiente la semplice idoneità del controllo a distanza dei lavoratori. Ciò perché anche in tale motivazione si è sottolineato che ciò vale sempre che avvenga senza accordo con le rappresentanze sindacali.
“Come ribadire, cioè, che l’esistenza di un consenso validamente prestato da parte di chi sia titolare del bene protetto, esclude la integrazione dell’illecito”.
A tale stregua, pertanto, l’evocazione nella decisione impugnata del principio giurisprudenziale appena citato risulta non pertinente e legittima il convincimento che il giudice di merito abbia dato della norma una interpretazione eccessivamente formale e meccanicistica limitandosi a constatare l’assenza del consenso delle RSU o di una commissione interna ed affermando, pertanto, l’equazione che ciò dava automaticamente luogo alla infrazione contestata.
In tal modo, però egli ha ignorato il dato obiettivo (peraltro di provenienza non sospetta, visto che sono stati gli stessi ispettori del lavoro a riportarlo) che l’odierna ricorrente aveva acquisito il consenso di tutti i dipendenti”.

Alida Alfano (da filodiritto.com del 18.6.2012)