Cass. III Sez. Penale, Sent. 11.6.2012, n. 22611
Non commette reato l’imprenditore che videosorveglia
i dipendenti, dopo avergli fatto firmare un foglio di autorizzazione. Ciò anche
in assenza di un accordo con le rappresentanze sindacali. Lo ha stabilito la
Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 22611 dell’11 giugno 2012, ha
assolto una imprenditrice di Pisa che aveva fatto installare due telecamere
dietro a due dipendenti, previa sottoscrizione di un’autorizzazione.
Dunque, mentre fino a qualche tempo fa la
giurisprudenza di legittimità aveva sempre condannato questi controlli troppo
invadenti da parte dell’azienda chiedendo come requisito l’accordo con le RSU,
ora è sufficiente una firma del lavoratore.
Sul punto la Terza Sezione Penale della Cassazione ha
spiegato che “se è vero che la disposizione contenuta nell’articolo 4 dello
Statuto dei lavoratori intende tutelare i lavoratori contro forme subdole di
controllo della loro attività da parte del datore di lavoro e che tale rischio
viene escluso in presenza di un consenso di organismi di categoria
rappresentativi (RSU o commissione interna), a maggior ragione, tale consenso
deve essere considerato validamente prestato quando promani proprio da tutti i
dipendenti”.
Secondo la Cassazione quanto sopra non è neppure in
contrasto con la enunciazione della medesima Cassazione (Sezione Terza, 15
dicembre 2006), secondo cui integrano il reato di cui agli articoli 4 e 38
Legge 300/70 anche gli impianti audiovisivi non occulti essendo sufficiente la
semplice idoneità del controllo a distanza dei lavoratori. Ciò perché anche in
tale motivazione si è sottolineato che ciò vale sempre che avvenga senza
accordo con le rappresentanze sindacali.
“Come ribadire, cioè, che l’esistenza di un consenso
validamente prestato da parte di chi sia titolare del bene protetto, esclude la
integrazione dell’illecito”.
A tale stregua, pertanto, l’evocazione nella
decisione impugnata del principio giurisprudenziale appena citato risulta non
pertinente e legittima il convincimento che il giudice di merito abbia dato
della norma una interpretazione eccessivamente formale e meccanicistica
limitandosi a constatare l’assenza del consenso delle RSU o di una commissione
interna ed affermando, pertanto, l’equazione che ciò dava automaticamente luogo
alla infrazione contestata.
In tal modo, però egli ha ignorato il dato obiettivo
(peraltro di provenienza non sospetta, visto che sono stati gli stessi
ispettori del lavoro a riportarlo) che l’odierna ricorrente aveva acquisito il
consenso di tutti i dipendenti”.
Alida Alfano (da filodiritto.com
del 18.6.2012)