Cass. Pen. sez. V, sent. 21.5.2012 n° 19299
La questione sottoposta all'esame della presente
pronuncia (se, cioè, integri il reato di falso ideologico in atto pubblico la
mancata timbratura, da parte del dipendente pubblico, del cartellino segnatempo
in occasione di brevi allontanamenti dal luogo di lavoro), comporta l'esame e
la soluzione di altra, preliminare questione e, cioè, se il cartellino
marcatempo (che meccanicamente annota gli orari di ingresso e di uscita dal
luogo di lavoro) ed i fogli di presenza (che assolvono ad analoga funzione) dei
pubblici dipendenti abbiano o meno natura di atto pubblico.
La prevalente giurisprudenza di legittimità si è al
riguardo positivamente orientata, sulla considerazione che tali atti
svolgerebbero la loro funzione non solo in riferimento al rapporto di lavoro
tra impiegati pubblici e pubblica amministrazione, ma anche in relazione alla
organizzazione stessa di quest'ultima, con riflessi sulla sua funzionalità,
essendo, perciò, essi "destinati a produrre effetti per la stessa pubblica
amministrazione", anche in ordine al "controllo dell'attività e
regolarità dell'ufficio"; tali attestazioni, quindi, sarebbero
"preordinat(e) ad attestare la certezza dello svolgimento della pubblica
funzione da parte di coloro che ne sono preposti", non rilevando al
riguardo la natura privatistica del rapporto di lavoro tra pubblico dipendente
e pubblica amministrazione (Cass. pen., sez. V, n. 5676 del 2005; Cass. pen.,
sez. V, n. 16503 del 2004; Cass. pen., sez. V, n. 43844 del 2004; Cass. pen.,
sez. V, n. 42245 del 2004).
L'opposto minoritario indirizzo giurisprudenziale fa
leva, in sostanza, sulla considerazione che siffatte attestazioni rilevano
"in via diretta ed immediata unicamente ai fini della retribuzione e
comunque del regolare svolgimento della prestazione di lavoro e solo
indirettamente, e mediatamente, ai fini del regolare svolgimento del
servizio" (Cass. pen., sez. V, n. 44689 del 2005).
Posto, difatti, che la condotta di falsificazione
ideologica del pubblico ufficiale ipotizzata dall’art. 479 c.p. (come quella
materiale di cui all’art. 476 c.p.) deve sostanziarsi in una attività svolta
"nell'esercizio delle sue funzioni" pubblicistiche, appare
ineludibile distinguere, nell'attività del pubblico impiegato - ed in un
contesto in cui il rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti ha assunto
connotazioni privatistiche (a seguito della disciplina introdotta con il D.Lgs.
29/1993, modificata dal D.Lgs. 80/1998, ora trasfusa nel D.Lgs. 165/2001) -
"gli atti che sono espressione della pubblica funzione e/o del pubblico
servizio e che tendono a conseguire gli obiettivi dell'ente pubblico" da
quelli "strettamente attinenti alla prestazione" di lavoro, "ed
aventi, perciò, esclusivo rilievo sul piano contrattuale e non anche su quello
funzionale" (Cass. pen., Sez. V, n. 12789 del 2003). Premesso, invero, che
secondo la costante giurisprudenza di Cass. pen., 8151/1976 e la prevalente
dottrina, "agli effetti delle norme sul falso documentale, il concetto di
atto pubblico è più ampio rispetto a quello che si desume dalla definizione
contenuta nell'art. 2699 c.c., in quanto comprende non soltanto quei documenti
che sono redatti con le richieste formalità da un notaio o da un altro pubblico
ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede, ma anche i documenti
formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato incaricato di pubblico
servizio nell'esercizio delle sue funzioni, attestanti fatti da lui compiuti o
avvenuti in sua presenza ed aventi attitudine ad assumere rilevanza
giuridica", rimane che - come si esprime autorevole dottrina - "la
falsa rappresentazione della realtà che viene documentata deve essere rilevante
in relazione alla specifica attività del pubblico ufficiale ... e ciò significa
che la falsità deve investire un fatto che, in relazione al concreto esercizio
della funzione o attribuzione pubblica, abbia la potenzialità di produrre
effetti giuridici".
Deve, allora, convenirsi che, la falsa attestazione
della propria presenza in ufficio (cui può essere equiparata la omessa
segnalazione della assenza) da parte di un Pubblico ufficiale non configura il
delitto di falso ideologico in atti pubblici ex art. 479 c.p..
(Da Altalex del 30.5.2012. Nota di
Rocchina Staiano)