Per
poter risolvere il contratto di appalto per i vizi dell’opera, si richiede un
inadempimento più grave di quello richiesto per la semplice risoluzione della
compravendita dovuta ai vizi della cosa. La valutazione circa le difformità è
basata su criteri subiettivi quando si esplicita nel contratto un particolare
impiego dell’opera. E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nell’
ordinanza n. 7942/2012.
Il caso. Una società promuoveva ricorso contro un privato
per ottenere la condanna al pagamento di un’ingente somma a titolo di
corrispettivo per mobili e arredi casalinghi eseguiti su misura. L’uomo, dal canto
suo, proponeva domanda riconvenzionale oppure la riduzione del corrispettivo.
Riformando la decisione del giudice di prime cure, la Corte territoriale riteneva
la parziale fondatezza del gravame principale e, in accoglimento della
riconvenzionale, statuiva la risoluzione del contratto. La società ricorre per
cassazione.
Il giudizio di legittimità. Per la Suprema Corte, ai fini della risoluzione del
contratto di appalto per i vizi dell’opera si richiede un inadempimento più
grave di quello richiesto per la risoluzione della compravendita per i vizi
della cosa. Pertanto, la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto
di appalto è ammessa solo nell’ipotesi in cui l’opera sia totalmente inadatta
alla destinazione propria e affetta da tare incidenti in modo notevole sulla
funzionalità complessiva. Qualora i vizi siano agevolmente eliminabili, il
committente può solo domandare uno dei rimedi ex art. 1668 c.c., salvo il
risarcimento del danno per colpa dell’appaltatore. La valutazione delle
difformità deve avvenire in base a criteri obiettivi, ossia considerando la
destinazione che l’opera riceverebbe dalla generalità delle persone; invece va
compiuta con criteri subiettivi quando le possibilità di un particolare impiego
siano appositamente dedotte in contratto. Spetta poi al committente provare la
sussistenza dei vizi dedotti, mentre compete all’appaltatore addurre
l’esistenza di eventuali cause impedenti la rivalsa del diritto. Nel caso in
esame, i giudici di merito hanno accertato che la mobilia era di una tipologia
affatto diversa rispetto a quella concordata. Del resto il prezzo complessivo
pattuito con riferimento all’arredo, assai elevato, e la mancata rifinitura
dello stesso, hanno indotto il giudice di seconde cure a considerare la
prestazione unitaria come del tutto inadeguata alla finalità preordinata. Non
poteva che conseguirne, quindi, la risoluzione del contratto per inadempimento.
(Da avvocati.it del
22.6.2012)