Con la sentenza n. 18713/2012, la Corte di Cassazione
afferma che non si tratta di abusivo esercizio della professione ma di
usurpazione di funzioni pubbliche, anche se, nel caso specifico, l’imputato si
vede accogliere il ricorso per aver agito in buona fede.
Il caso. Senza abilitazione riscuoteva tributi per conto di
alcuni consorzi e veniva condannato, nei due gradi del merito, per il reato di
abusivo esercizio della professione. Nel ricorso per cassazione, l’imputato si
lamentava sia della mancata applicazione del principio di retroattività della
legge più favorevole, sia della mancata considerazione che l’unica attività
svolta dalla società di cui l’imputato era legale rappresentante era consistita
nel solo invio di quattro avvisi di mora, condotta non riconducibile ad
attività di riscossione.
Il giudizio di legittimità. La Suprema Corte afferma
che la condotta del ricorrente non configura esercizio abusivo della
professione, poiché «l’attività abusiva ascrittagli non consiste nell’esercizio
di una “professione” soggetta a speciale abilitazione statale».
Inoltre, la Corte di Giustizia – nella causa C-267/99
– così definisce il concetto di professione: «Le libere professioni sono
attività che presentano un pronunciato
carattere intellettuale, richiedono una qualificazione di livello elevato e
sono normalmente soggette ad una normativa professionale precisa e rigorosa.
Nell’esercizio di un’attività del genere, l’elemento personale assume rilevanza
particolare e presuppone una notevole autonomia nel compimento degli atti
professionali». Caratteristiche che, nel caso in esame, l’attività
dell’imputato non presenta: in realtà, la fattispecie che si ritiene
configurata è l’usurpazione di funzioni pubbliche. Ma non è tutto. Secondo i
giudici di legittimità, l’ente non aveva, per legge, il potere di conferire
legittimamente l’incarico di riscuotere al ricorrente. Ciò ha sicuramente
indotto in errore quest’ultimo sulla sussistenza dei presupposti per il
legittimo esercizio dei compiti affidatigli dall’ente. Insomma, ha agito in
buona fede. Mancando, dunque, l’elemento soggettivo del reato, la S.C. annulla
senza rinvio la sentenza impugnata.
(Da avvocati.it del 20.6.2012)