mercoledì 13 giugno 2012

La figlia rifiuta di incontrare il padre: la madre risarcisce l’ex marito


Sospeso il diritto di visita fissato nell’ambito della separazione tra i coniugi, poiché la figlia rifiuta di incontrare il padre. Ma alla base di questa decisione c’è la pressione esercita dalla madre: quest’ultima deve risarcire l’uomo. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 7452/2012.
Il caso. A chiedere la separazione personale è la donna, e la richiesta viene accolta dal Tribunale, che, tra l’altro, stabilisce «l’affidamento condiviso della figlia minore della coppia», con «collocamento presso la madre» ma anche con «obbligo dei genitori di intraprendere un percorso di mediazione familiare» per migliorare i rapporti genitori-figlia. Sempre in primo grado, viene anche stabilita «la sospensione del diritto di visita del padre» alla luce del «rifiuto opposto dalla figlia». Alla base dell’atteggiamento tenuto dalla bambina, ci sono però le azioni compiute dalla madre. A quest’ultima, difatti, i giudici addebitano la sindrome da alienazione genitoriale che ha colpito la figlia. Per questo, le viene addossato l’onere di risarcire i danni provocati in ambito familiare: 20mila euro in favore della figlia, 15mila euro in favore del marito. Su quest’ultimo punto è la Corte d’Appello – a cui si rivolge la donna – a prendere posizione, con un aggiornamento ad hoc della pronuncia di primo grado: risarcimento riconosciuto solo all’uomo, e quantificato in 10mila euro. La donna presenta ricorso per cassazione, contestando le valutazioni tecniche compiute in primo e in secondo grado: «nessuno degli specialisti aveva condiviso la diagnosi di sindrome da alienazione parentale». Non solo. Sempre secondo la ricorrente, «l’obbligatoria audizione della minore» era stata ‘saltata’ a pie’ pari, senza poi dimenticare «il disinteresse» manifestato dal marito nei confronti della figlia e la necessità di legare la sindrome da alienazione parentale alla «grave conflittualità fra i genitori».
Il giudizio di legittimità. Tuttavia, la decisione del Tribunale, confermata - seppur parzialmente modificata - in Appello, è ritenuta pienamente legittima da piazza Cavour: nessuna contestazione è possibile sull’iter seguito per inquadrare i problemi psicologici della minore. Ed è assolutamente lineare anche il ragionamento sulla responsabilità addebitata alla madre, alla luce delle accuse, non legittime, mosse al marito. Di conseguenza, è da confermare il risarcimento riconosciuto a favore dell’uomo.

(Da avvocati.it del 12.6.2012)