Solo
24 ore di vita e un quadro clinico complesso: si rende necessario l’intervento
chirurgico, ma i problemi successivi, non immediatamente evidenziati, portano alla
morte del bambino. A pagarne le conseguenze è il medico che ha guidato l’équipe
chirurgica. E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n.
17222/2012.
Il caso. Un neonato veniva sottoposto ad un intervento
chirurgico per sospetta occlusione intestinale, seguito da complicazioni
fatali. Il medico, che aveva eseguito l’operazione, veniva accusato di omicidio
colposo: nella veste di capo dell’équipe chirurgica avrebbe dovuto disporre «il
ricovero in terapia intensiva» e disporre «un articolato monitoraggio dei
parametri vitali» del bambino. Tali omissioni hanno avuto conseguenze
terribili: non è stato possibile diagnosticare «tempestivamente una emorragia»
che, poi, «per mancanza delle terapie necessarie», ha determinato la morte. Sia
in primo che in secondo grado l’uomo veniva condannato. Contro tale verdetto il
medico ricorreva per cassazione, sottolineando «l’autonomia professionale dei
medici di reparto, destinatari, per turno, del paziente ricoverato, e, quindi,
titolari del relativo obbligo di assistenza. In questa ottica, viene ricordato
che l’intervento è stato affidato al medico ora sotto accusa solo per l’assenza
del primario chirurgo, e che l’attività di monitoraggio e di vigilanza sul
bambino è stata svolta nel reparto di chirurgia neonatale, adeguatamente
attrezzato, da un secondo medico, a cui il medico autore dell’operazione aveva
affidato il monitoraggio del piccolo paziente».
Il giudizio di legittimità. Secondo i giudici di piazza Cavour è da criticare
la decisione di non utilizzare il reparto di terapia intensiva: «anche in caso
di istruzioni da parte del primario, il medico responsabile dell’operazione
avrebbe dovuto agire in scienza e coscienza e sulla base delle sue valutazioni
personali. Ne deriva che anche ipotizzando una omissione da parte della
collaboratrice che aveva il compito di monitorare il bambino, resta intatta la
responsabilità del medico. Quindi, ciò che emerge è la trascuratezza da parte
del medico, concretizzatasi in un monitoraggio non adeguato portando così alla
morte del neonato. E tale passaggio è connesso alla «posizione di garanzia»
riconosciuta alla figura medica che guida l’équipe chirurgica, e allargata
anche «al contesto post operatorio». Per questo motivo, viene confermata la
condanna del medico.
(Da avvocati.it del
14.6.2012)