martedì 22 febbraio 2011

Il DDL sulla rottamazione del processo civile


Commento al Disegno di Legge 17.2.2011 di Fabrizio Sigillò

Nell'impervio mare di internet capita spesso di reperire documenti più o meno riservati ed esclusivi altrimenti non disponibili sugli ordinari canali di informazione.
Non tutti – come noto - meritano attenzione e di molti si disconosce persino la provenienza e l'affi­dabilità, legittimandosi ogni più opportuna cautela tanto nella lettura quanto nell'eventuale com­mento.
E' in questo contesto che giovedì scorso è pervenuto, sul mio indirizzo di posta elettronica, un messaggio (solo apparentemente riservato) contenente il testo di una bozza di un d.d.l. intitolato “Disposizioni per smaltire l'arretrato in materia civile da parte degli uffici giudiziari”.
Sebbene si sia lontani dagli sconvolgenti scenari di Wikileaks e benchè la provenienza del messaggio sembrerebbe in questo caso affidabilissima (un po' meno della fonte del documento allegato, che rimane a me ignoto) permane la cautela nella lettura e nel commento di una semplice bozza di un provvedimento legislativo, tradizionalmente destinato a mutare il suo contenuto originario nei passaggi tra le varie commissioni e nella successiva discussione in aula.
L'argomento menzionato non è d'altra parte assolutamente improbabile, sposandosi perfettamente con il dichiarato intento ministeriale di realizzare praticamente il cosidetto sistema di “rottamazione dei procedimenti civili datati”, mediante affidamento agli improbabili “ausìli” dei soliti onorari di turno (idea apparentemente abbandonata qualche mese fa) ovvero a sempre più drastiche riduzioni dei termini processuali (rispondenti ad automatico calcolo matematico-statistico secondo cui l'indicazione di un termine più breve non può che comportare una riduzione del tempo intercorrente tra le singole fasi del processo); residuerebbe poi l'ormai periodico ricorso alle modificazioni codicistiche che hanno reso ormai lontano ricordo quel secolare sistema processuale che studiai tra gli anni '83 e '87 e che applicai nei primi anni della mia professione.
Queste le indispensabili premesse di una prima lettura di una bozza che però, in considerazione della rapidità nell'emanazione di alcuni recenti decreti(...ni) e dell'eventualità che possa essere imposta manu militari agli operatori del diritto, mi induce a prestare dovuta attenzione al contenuto del do­cumento ricevuto, commentandone sinteticamente i punti salienti, sollecitando la discussione degli interessati ed il successivo e tempestivo intervento degli organismi di rappresentanza della classe forense.
Apprezzabile si rivela l'incipit della bozza di cui sopra, preordinata a demandare ai presidenti dei Tribunali e delle Corti d'Appello la predisposizione di un piano d'attacco per la gestione del contenzioso pendente, comprensivo degli obiettivi da perseguire concretamente nel corso dell'anno giudiziario, del conseguimento di rendimento dell'ufficio e dell'individuazione delle priorità richiesta dall'una anziché dall'altra tipologia di processo, da elaborarsi mediante raffronto tra i risultati conseguiti nell'anno precedente.
I programmi vengono comunicati ai Consigli dell'ordine degli avvocati e, more solito, sembrerebbe trattarsi di mera comunicazione istituzionale ben diversa da quella analoga prevista in favore del C.S.M., dichiaratamente rilevante ai fini della valutazione sulla conferma degli incarichi direttivi del mittente.
L'art. 2 prevede la possibilità di stipulare convenzioni con facoltà universitarie e scuole di specializzazione per le professioni legali oltre che con i consigli dell'ordine (il tutto – è scritto a chiare lettere – senza oneri a carico delle finanze pubbliche) affinchè i “più meritevoli” possano svolgere il corso di dottorato di ricerca o di specializzazione per le professioni legali presso gli uffici giudiziari.
La previsione non si discosta più tanto da quella attualmente in vigore salvo a considerare il ruolo che l'interessato meritevole acquisisce in questa fase della sua formazione e che, se svolta negli uffici giudiziari, non si limita alla passiva presenza in udienza quanto – ed ove il magistrato ne faccia richiesta – all'“assistenza nel compimento delle ordinarie attività” del giudice (c'è quindi da chiedersi quale possa essere lo sviluppo di questa assistenza alla luce delle previsioni del redigendo decreto).
L'art. 3 potrebbe rivelarsi foriero di dissidio con le rappresentanze sindacali dei lavoratori (al pari di quanto recentemente riscontrato in una vicenda che ha visto partecipe una nota casa automobilistica italiana). Si tratta infatti della modifica di un inciso della finanziaria 2008 che prevedeva la possibilità di sopperire alle gravi carenze di personale degli uffici giudiziari mediante le procedure di mobilità. Nella versione vigente il Ministero è abilitato a coprire temporaneamente i posti vacanti negli uffici giudiziari mediante l’utilizzazione in posizione di comando di personale di altre pubbliche amministrazioni, anche di diverso comparto, “...secondo le vigenti disposizioni contrattuali”.
Questo passo (contenuto al comma 128 dell'art. 3 della L. 244/2007) verrebbe sostituito dall'inciso “...e in deroga ad ogni limite temporale previsto dalla contrattazione collettiva”.
Conclusa la parte organizzativa, la bozza procede alla trattazione delle misure straordinarie previste per i giudizi pendenti in Cassazione e che vengono modellate sulla falsariga dell'analogo sistema attuato nel processo amministrativo. Anche in questo caso, infatti, si impone al ricorrente il deposito dell'istanza di prelievo che, ove non perfezionata nei sei mesi dall'avviso in tal senso inoltrato dalla cancelleria, conduce all'estinzione del decreto.
Pressoché scontato precisare come il termine sia espressamente inteso come perentorio.
Con l'art. 5 della bozza si interviene finalmente sulla modifica sostanziale delle norme codicistiche, integrando l'art. 89 c.p.c. tradizionalmente riservato al comportamento delle parti in sede processuale e modificando il titolo dell'intera rubrica (al momento “Espressioni sconvenienti od offensive”), con l'intestazione “Dovere di sintesi ed espressioni sconvenienti od offensive”.
L'impostazione della norma pare più assimilabile ad un dictat di memoria scolastica che non ad un provvedimento giuridico e prevede specificatamente il dovere (delle parti e dei loro difensori) di illustrazione sintetica delle ragioni, sanzionandone la violazione con il rifiuto del giudice di verbalizzazione (?) od, ancor di più, dalla restituzione dell'atto eccedente la sinteticità dell'esposizione con termine perentorio per la rinnovazione e contestuale indicazione dei limiti di tempo o di spazio consentiti (?).
Inutile precisare che il termine, in questo caso, sia espressamente inteso come perentorio.
Nel tentativo di accelerare ulteriormente i tempi del processo, quale miglior soluzione della riduzione del contenuto degli atti, dei verbali ed – inevitabilmente – delle sentenze?
E così, unitamente alla sinteticità delle esposizioni delle parti, ecco comparire (in maniera neanche fittizia) l'ulteriore modificazione dell'art. 163 c.p.c. che rinvia alla nuova versione dell'art. 281 c.p.c. debitamente arricchito di un decies intitolato DELLA MOTIVAZIONE BREVE.
Se qualche riserva aveva ingenerato il sistema di processo sommario (della cui applicazione disconosco le risultanze statistiche) altrettanto potrebbe ritenersi per questa sorta di provvedimento interinale (decreto) assunto successivamente alla scadenza del termine di cui all'art. 190 c.p.c. e contenente l'indicazione dell'udienza per la lettura del dispositivo.
Inutile precisare che il termine di 30 giorni per l'assunzione di detto provvedimento (non essendo in alcun modo riconducibile all'attività del difensore) assume era natura ordinatoria.
Immediata una considerazione pratica discendente dalla conoscenza dei tempi biblici intercorrenti tra la fissazione delle udienze ordinarie.
Anche a voler dare per scontato che il termine (ordinario) di 30 giorni venga inderogabilmente rispettato dal magistrato, sembrerebbe davvero difficile predeterminare (anche perchè non predeterminato) il lasso di tempo intercorrente tra l'emissione del decreto e l'indicazione della successiva udienza.
Nuovi i termini di impugnazione della “sentenza breve” ed ancor più ridotti rispetto a quelli previsti per il già rapidissimo procedimento sommario di cognizione.
Chi dovesse intendere proporre impugnazione dovrà chiedere, entro 15 giorni, il deposito della motivazione che avverrà entro i successivi 30 giorni.
Inutile precisare che il termine del deposito per la motivazione è ordinario laddove quello per la preliminare richiesta è perentorio.
Se nessuno delle parti dovesse rispettare il termine ovvero chiedere la motivazione, la sentenza breve passerebbe in giudicato (a dire il vero il titolo dell'articolo di riferimento è l'art. 324-bis che non parla di inimpugnabilità della sentenza ma il senso pare essere che alla mancata richiesta di motivazione si determini il passaggio in giudicato).
Nell'ottica del tentativo di deflazione del ricorso all'attività giudiziaria (costituente notoriamente esclusivo campo di azione dell'avvocato) si introduce un simpatico inciso nella parte delle spese di giustizia, il cui commento si affida al lettore del testo integrale delle lettere a) e b) qui trascritte.
“1-bis. Il contributo è aumentato della metà nei giudizi di impugnazione ed è dovuto nella misura fissa di euro 500 nei giudizi dinanzi alla Corte di Cassazione”;
“Nell'ipotesi prevista dall'art. 281-decies terzo comma del cpc (ndr la sentenza breve) la parte che per prima deposita l'atto di richiesta della motivazione estesa della sentenza è tenuta al pagamen­to contestuale del contributo unificato dovuto per il successivo grado di giudizio.”
A leggerla testualmente sembrerebbe quindi che sia necessario un preventivo pagamento per una fase processuale che potrebbe anche non realizzarsi concretamente (riterrei quantomai logico e ragionevole rinviare ogni decisione sull'impugnazione alla lettura della motivazione).
Non pare quindi eccessivo qualificare tale previsione come vera e propria gabella che intacca peraltro uno dei più tradizionali cardini processuali (l'obbligo di motivazione) e che qui viene integrato da un versamento a fondo perduto avente (quantomeno nel caso di giudizi dal valore rilevante) rilevanza economica non secondaria ed indifferente all'eventuale ripensamento (e quindi alla restituzione del contributo versato) sulla opportunità di impugnare.
Si tratta, evidentemente, di una primissima e sicuramente intempestiva lettura di una semplice bozza di lavoro di cui pare però opportuna la preventiva conoscenza anche in ossequio al famoso motto che – dalle mie parti – affida la tutela della persona ad una attenta e preventiva salvaguardia.

(Da Altalex del 21.2.2011)