Il giudice non deve motivare la mancata
compensazione spese processuali tra le parti.
E se salta il preliminare di vendita ai
fini del lucro cessante
conta il valore del bene quando l'inadempimento diventa definitivo.
conta il valore del bene quando l'inadempimento diventa definitivo.
Se
il giudice decide di non compensare le spese processuali fra le parti, non deve
darne conto motivandolo: si tratta di una scelta che rientra nei suoi poteri
discrezionali. Ancora: quando il preliminare di compravendita va in fumo, per
calcolare il risarcimento del lucro cessante in favore della parte non
inadempiente rileva il valore del bene al momento in cui l'inadempimento
dell'altro diventa definitivo. È quanto emerge dalla sentenza 14714/12,
pubblicata il 30 agosto dalla seconda sezione civile della Cassazione.
Soccombenza prevalente
È
escluso che si configuri il vizio di motivazione nella decisione della Corte
territoriale che addebita tutte le spese processuali all'appellante principale,
anche se rigetta pure l'appello incidentale (peraltro nell'ambito di una
controversia su di un preliminare di compravendita immobiliare non andato a
buon fine). L'appellante principale, nella specie, è il promittente venditore
che, nonostante la sottoscrizione del preliminare, ha finito per vendere il
cespite a un terzo e non al promissario acquirente. Si deve ritenere, osservano
gli "ermellini", che il giudice ha ritenuto del tutto prevalente la
soccombenza dell'appellante principale, anche perché liquida in poche righe il
rigetto dell'appello incidentale (fondato sull'asserita previsione di una
caparra e sulla limitazione del danno al doppio della caparra). Insomma: il
giudice non deve spiegare le ragioni per le quali non si avvale della facoltà
di compensare le spese fra le parti e la sua decisione, in questo senso, non
risulta censurabile in Cassazione neppure per mancanza di motivazione.
Domanda e data
Passiamo
al risarcimento del danno da liquidare a chi, diversamente dalla controparte,
era disposto a onorare il preliminare di compravendita. Una cosa è certa: non
si può fare riferimento al valore attuale del bene per calcolare l'incremento
di valore del bene che non è stato trasferito come invece prevedeva il
preliminare. Resta allora da individuare, a questo proposito, il momento in cui
l'inadempimento diventa definitivo in modo da poter determinare l'ammontare del
risarcimento. E quel momento è la proposizione della domanda di risoluzione per
inadempimento del contratto visto che di lì in poi ottenere l'adempimento non è
più possibile. Nell'ipotesi in cui il promittente venditore si spoglia della
proprietà del bene promesso in vendita attraverso un atto opponibile al
promissario acquirente - perché trascritto anteriormente alla trascrizione
della domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre - il
momento in cui l'inadempimento diventa definitivo deve essere identificato
nella trascrizione dell'atto di vendita a terzi dell'immobile già promesso in
vendita.
Dario Ferrara (da cassazione.net)