La cessazione dell’obbligo di contribuzione a favore
dei figli maggiorenni cessa allorquando il genitore obbligato provi la
raggiunta indipendenza economica del figlio il quale, mediante un’attività
lavorativa stabile, continuativa, con un reddito corrispondente alla
professionalità acquisita nel corso degli anni di studio, è in grado di
provvedere direttamente alle proprie esigenze. A ribadirlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza
n. 4555/2012.
Il caso. In primo grado, la sentenza di
divorzio disponeva l’assegnazione della casa coniugale all’ex moglie e
l’obbligo in capo all’ex marito di contribuire al mantenimento del figlio
maggiorenne, ma ritenuto non ancora economicamente autosufficiente. L’ex
marito, in appello, richiedeva la revoca dell’assegnazione della casa familiare
e la cessazione del contributo al mantenimento del figlio maggiorenne poiché
assunto con contratto a tempo indeterminato con una retribuzione mensile di
1.500 euro. La Corte
rigettava la richiesta di revoca e confermava l’assegno di mantenimento a
carico del padre, ma in misura quasi dimezzata rispetto alla precedente
sentenza di merito. Giunto in Cassazione, l’uomo chiedeva alla Suprema Corte:
"Anche se iscritto all'Università per la specializzazione, può un figlio
nelle condizioni del mio, ritenersi non autonomo economicamente e, quindi, in
diritto di percepire un assegno di mantenimento?"
Il giudizio di
legittimità. Piazza Cavour, investita della questione, ha disposto
nuovi accertamenti. Innanzitutto, gli Ermellini hanno sottolineato, a favore
del padre, che la circostanza che il figlio prosegua gli studi non è di per sè
"un dato esaustivo" per affermare, come avevano fatto in primo e
secondo grado i giudici di merito, il dovere del padre a proseguire nel versare
l'assegno. La Suprema
Corte ha ordinato alla Corte di Appello di abbandonare la
tesi per cui il proseguimento degli studi imporrebbe sempre l'obbligo del
mantenimento, e accertare, piuttosto, se il ragazzo sia veramente indipendente
rispetto "al percorso di studi intrapreso, alle aspirazioni professionali
perseguite, all'entità della retribuzione, alle condizioni economiche della famiglia".
Invece, i giudici di merito avevano detto che siccome il ragazzo si era
iscritto alla specializzazione "non poteva ritenersi che avesse conseguito
una collocazione adeguata nel corpo sociale". Ricorda la Suprema Corte:
“l'obbligo di versare il contributo per i figli maggiorenni cessa quando il
genitore obbligato provi che essi abbiano raggiunto l'indipendenza, percependo
un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle
normali condizioni di mercato, o se provi che i figli si sottraggono
volontariamente allo svolgimento di un lavoro adeguato". Per ordine della
Cassazione, la Corte
di Appello dovrà anche rivedere il diritto della ex moglie a rimanere nella
casa coniugale, assegnatale dopo la separazione in forza del fatto che il figlio,
nonostante abitasse a Torino, aveva mantenuto lì la residenza e andava a
trovarla di tanto in tanto.
(Da
avvocati.it del 3.5.2012)