Cass. Pen. sez. III, sent. 3.11.2011 n° 39733
La materiale utilizzazione di un immobile e
l'eventuale attivazione di utenze non sono elementi da soli sufficienti per
dimostrare la sua concreta ed effettiva funzionalità e la presenza di tutti i
requisiti di agibilità o abitabilità che consentano di ritenerlo ultimato.
E’ questo il principio illustrato dalla Corte di
Cassazione con la sentenza 3 novembre 2011, n. 39733, che si segnala, tra
l’altro, per la novità dell’approccio ermeneutico della Suprema Corte in
riferimento all’art. 25, comma 1 del D.P.R. n. 380 del 2001. Al riguardo, i
giudici di Piazza Cavour evidenziano che
per ritenere ultimato un immobile è necessario che si tratti di un edificio
concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o
abitabilità, in conformità al contenuto dell’art. 25 cit. che fissa entro
quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento, il termine entro cui
presentare allo sportello unico la domanda di rilascio del certificato di
agibilità.
Nel caso di specie, il ricorrente in cassazione
contestava l’ordinanza del giudice del riesame confermativa del decreto del GIP del Tribunale di Lamezia Terme con cui
veniva disposto il sequestro preventivo di tre manufatti, realizzati in assenza
di permesso di costruire in violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44,
lett. c), nonché delle disposizioni in materia di costruzioni in zone sismiche
e sulle opere in cemento armato ed in ordine alle quali risultava indagato lo
stesso ricorrente, unitamente ad altre persone.
In particolare, il Tribunale del riesame, procedendo
all'esame dei dati fattuali documentati dalle risultanze delle prime indagini,
perveniva alla conclusione che la natura abusiva degli interventi era di
macroscopica evidenza, rilevando inoltre l'assenza di idonea documentazione
fotografica, catastale, amministrativa o di altro genere, comprovante con
certezza la data di ultimazione degli interventi e, conseguentemente, il
momento consumativo dei reati da considerare ai fini del calcolo della
prescrizione, eccepita dalla difesa dell’indagato. Quest’ultimo, al contrario,
sosteneva dimostrato il completamento funzionale dei manufatti stante
l’esistenza di utenze domestiche e la presenza di persone occupanti gli
immobili.
Le doglianze, tuttavia, sebbene riproposte in
cassazione non convincono la
Corte che ritiene
infondato il ricorso. Sulla scorta dei precedenti della stessa Cassazione, gli
Ermellini ribadiscono la natura permanente del reato urbanistico, la cui
consumazione ha inizio con l’avvio dei lavori, perduranti fino alla cessazione
dell’attività edificatoria abusiva.
Quest’ultima si avrà con l’ultimazione dei lavori per
completamento dell’opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta,
con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l'accertamento del
reato e sino alla data del giudizio. L’ultimazione dei lavori infine coincide con la conclusione dei lavori di
rifinitura interni ed esterni quali gli intonaci e gli infissi.
Correttamente i giudici del riesame non potevano
assumere come determinato il momento consumativo del reato e, quindi, maturata
la prescrizione, perché gli elementi richiamati non sono da soli sufficienti a
dimostrare la concreta ed effettiva funzionalità. In ogni caso, aggiunge la Corte grava comunque sull'indagato che voglia
giovarsi della causa estintiva della prescrizione, in contrasto o in aggiunta a
quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l'onere di allegare gli
elementi in suo possesso. Ciò non può ritenersi adeguatamente assolto nel caso
di specie.
Da qui il rigetta del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento.
(Da
Altalex del 12.1.2012. Nota di Alessandro Ferretti)