giovedì 31 maggio 2012

Inaccettabile ridurre risarcimenti ai cittadini e penalizzare lavoro avvocati

Il Presidente OUA Maurizio de Tilla


La lunghezza dei processi è eccessiva e lo Stato non può eludere
le proprie inadempienze riducendo la portata della legge Pinto

L’Organismo Unitario dell’Avvocatura (Oua) in audizione in Commissione Giustizia del Senato ha esposto le proprie critiche sui progetti di legge di modifica della Legge Pinto. La delegazione composta dal presidente dell’Oua, Maurizio de Tilla, e da Gaetano Amoroso, coordinatore Oua della Commissione Lavoro.
Per de Tilla, l’attacco alla legge Pinto è inaccettabile: «Da un lato lo Stato è incapace di garantire la ragionevole durata dei processi, dall’altro incalzato dalle continue condanne degli organismi europei, è stato costretto ad approvare una legge, la Pinto, per risarcire i cittadini vittime di questo disservizio. Eppure, dopo anni, invece, di mettere mano a riforme per rendere efficiente la macchina giudiziaria, ricorre a stratagemmi per ovviare il problema. Aumenta il contributo unificato, introduce la mediaconciliazione obbligatoria, cerca ,di fatto, di ridurre l’accesso dei cittadini al sistema giustizia, nonostante ciò non riesce a sciogliere il nodo della lunghezza dei procedimenti. E allora, ecco, che decide di “barare”, intervenendo proprio sulla legge Pinto (con il ddl n. 3125), e snaturando, così i principi alla base delle decisioni già prese sul tema dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo e pienamente recepiti dalla Corte Suprema di Cassazione. Quattro osservazioni di merito. La prima – continua – non è possibile che si sia come misura iniziale ridotto a 500 euro il punto di partenza di quantificazione dell’indennizzo è offensivo nei confronti dei cittadini che così subiscono il danno due volte: prima con un processo troppo lungo, poi con un indennizzo “ridotto”. La seconda: non è accettabile mortificare il lavoro degli avvocati e prevedere nella misura del 5%, in caso di accordo (10% in caso di contenzioso), il compenso previsto per la liquidazione dell’attività professionale prestata dal legale. Sarebbe di fatto un ulteriore attacco al rapporto fiduciario tra cittadino ricorrente e avvocato, infatti oltre ad essere risibili i parametri indennitari, il che sarebbe sicuramente rimediabile per via giudiziaria, si pone il problema delle spese legali. Infatti, non c’è avvocato che potrebbe assistere un cliente per così poco: pari alla retribuzione oraria secondo contratto nazionale dei lavoratori domestici. Di fatto la norma tenderebbe, proprio per la previsione dell’assistenza obbligatoria del legale, a disincentivare i ricorsi, poiché si potrebbe verificare il paradosso per cui l'intero indennizzo andrebbe a coprire le spese legali, specie con il patto di quota-lite che l’avvocatura respinge sul piano morale, senza alcun ristoro per il ricorrente, ovvero a far si che il ricorso debba essere proposto impropriamente dall’interessato senza le necessarie cognizioni giuridiche, rivolgendosi ad organizzazioni che dispongono di assistenza legale disposta a prestare la propria opera per cause connotate da serialità e magari con contratto di lavoro subordinato (avvocato dipendente). Oltretutto, è concretamente immaginabile che a fronte di indennizzi inadeguati ed irrisori, le Corti di Appello sarebbero comunque intasate di impugnazioni non risolvendo così il problema». 
La terza osservazione è relativa alle anticipazioni apparse sui media sulla proposta contenuta nel prossimo decreto sviluppo di delegare ai prefetti la liquidazione dei risarcimenti: «Gli stessi prefetti hanno già sottolineato le difficoltà di un sistema del genere – aggiunge il presidente Oua – non comprendiamo, quindi, come si possa percorrere una strada senza uscita che già si sa, non porta a risolvere alcun problema». 
La quarta osservazione è di carattere generale: «Lo sforzo del Legislatore tende a rendere efficiente la macchina della giustizia, ma l'inefficienza, come avviene con un’impresa privata che non funziona ha un costo e delle conseguenze, ed è, quindi, giusto che, anche lo Stato sia tenuto a pagare per un danno/disservizio che si traduce in un diniego di giustizia.  Il principio è chiaro: come un cittadino paga per i ritardi, per esempio nel pagamento delle tasse, allo stesso modo le istituzioni pubbliche sono tenute allo stesso comportamento. Si deve dare l’esempio. Credo – conclude de Tilla - che sia invece doveroso puntare sulla necessità di indagare sul perché di tutti questi ricorsi pendenti e sul perché ci vogliono anni per dei giudizi di equa riparazione che la legge prevede debbano essere decisi in 45 giorni. Si dovrebbe indagare sul perché i ricorsi per equa riparazione hanno una durata di quasi tre anni anziché dei 45 giorni previsti. E non aggirare gli ammonimenti della Corte di Giustizia Europea. Infine: la legge Pinto, attualmente in vigore è senza ombra di dubbio ben strutturata, semmai si sentisse, come sembra, la necessità di modificarla, andrebbero introdotti automatismi e conseguenze sul piano disciplinare per il giudicante qualora i ritardi si caratterizzino a causa di inutili rinvii e per richieste istruttorie improprie, le quali siccome ingiustificate appaiono solamente utili ad uno scopo dilatorio. L’Oua propone che si acceleri la procedura con l’applicazione del rito sommario semplificato e con la devoluzione al Tribunale della determinazione degli indennizzi a favore dei cittadini danneggiati».

(Da Mondoprofessionisti del 30.5.2012)