Il Presidente OUA Maurizio de Tilla
La lunghezza dei processi è eccessiva e
lo Stato non può eludere
le proprie inadempienze riducendo la
portata della legge Pinto
L’Organismo
Unitario dell’Avvocatura (Oua) in audizione in Commissione Giustizia del Senato
ha esposto le proprie critiche sui progetti di legge di modifica della Legge
Pinto. La delegazione composta dal presidente dell’Oua, Maurizio de Tilla, e da
Gaetano Amoroso, coordinatore Oua della Commissione Lavoro.
Per
de Tilla, l’attacco alla legge Pinto è inaccettabile: «Da un lato lo Stato è
incapace di garantire la ragionevole durata dei processi, dall’altro incalzato
dalle continue condanne degli organismi europei, è stato costretto ad approvare
una legge, la Pinto,
per risarcire i cittadini vittime di questo disservizio. Eppure, dopo anni,
invece, di mettere mano a riforme per rendere efficiente la macchina
giudiziaria, ricorre a stratagemmi per ovviare il problema. Aumenta il
contributo unificato, introduce la mediaconciliazione obbligatoria, cerca ,di
fatto, di ridurre l’accesso dei cittadini al sistema giustizia, nonostante ciò
non riesce a sciogliere il nodo della lunghezza dei procedimenti. E allora,
ecco, che decide di “barare”, intervenendo proprio sulla legge Pinto (con il
ddl n. 3125), e snaturando, così i principi alla base delle decisioni già prese
sul tema dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo e pienamente recepiti dalla
Corte Suprema di Cassazione. Quattro osservazioni di merito. La prima –
continua – non è possibile che si sia come misura iniziale ridotto a 500 euro
il punto di partenza di quantificazione dell’indennizzo è offensivo nei
confronti dei cittadini che così subiscono il danno due volte: prima con un
processo troppo lungo, poi con un indennizzo “ridotto”. La seconda: non è
accettabile mortificare il lavoro degli avvocati e prevedere nella misura del
5%, in caso di accordo (10% in caso di contenzioso), il compenso previsto per
la liquidazione dell’attività professionale prestata dal legale. Sarebbe di
fatto un ulteriore attacco al rapporto fiduciario tra cittadino ricorrente e
avvocato, infatti oltre ad essere risibili i parametri indennitari, il che
sarebbe sicuramente rimediabile per via giudiziaria, si pone il problema delle
spese legali. Infatti, non c’è avvocato che potrebbe assistere un cliente per
così poco: pari alla retribuzione oraria secondo contratto nazionale dei
lavoratori domestici. Di fatto la norma tenderebbe, proprio per la previsione
dell’assistenza obbligatoria del legale, a disincentivare i ricorsi, poiché si
potrebbe verificare il paradosso per cui l'intero indennizzo andrebbe a coprire
le spese legali, specie con il patto di quota-lite che l’avvocatura respinge
sul piano morale, senza alcun ristoro per il ricorrente, ovvero a far si che il
ricorso debba essere proposto impropriamente dall’interessato senza le
necessarie cognizioni giuridiche, rivolgendosi ad organizzazioni che dispongono
di assistenza legale disposta a prestare la propria opera per cause connotate
da serialità e magari con contratto di lavoro subordinato (avvocato
dipendente). Oltretutto, è concretamente immaginabile che a fronte di
indennizzi inadeguati ed irrisori, le Corti di Appello sarebbero comunque
intasate di impugnazioni non risolvendo così il problema».
La
terza osservazione è relativa alle anticipazioni apparse sui media sulla
proposta contenuta nel prossimo decreto sviluppo di delegare ai prefetti la
liquidazione dei risarcimenti: «Gli stessi prefetti hanno già sottolineato le
difficoltà di un sistema del genere – aggiunge il presidente Oua – non
comprendiamo, quindi, come si possa percorrere una strada senza uscita che già
si sa, non porta a risolvere alcun problema».
La
quarta osservazione è di carattere generale: «Lo sforzo del Legislatore tende a
rendere efficiente la macchina della giustizia, ma l'inefficienza, come avviene
con un’impresa privata che non funziona ha un costo e delle conseguenze, ed è,
quindi, giusto che, anche lo Stato sia tenuto a pagare per un danno/disservizio
che si traduce in un diniego di giustizia.
Il principio è chiaro: come un cittadino paga per i ritardi, per esempio
nel pagamento delle tasse, allo stesso modo le istituzioni pubbliche sono
tenute allo stesso comportamento. Si deve dare l’esempio. Credo – conclude de
Tilla - che sia invece doveroso puntare sulla necessità di indagare sul perché
di tutti questi ricorsi pendenti e sul perché ci vogliono anni per dei giudizi
di equa riparazione che la legge prevede debbano essere decisi in 45 giorni. Si
dovrebbe indagare sul perché i ricorsi per equa riparazione hanno una durata di
quasi tre anni anziché dei 45 giorni previsti. E non aggirare gli ammonimenti
della Corte di Giustizia Europea. Infine: la legge Pinto, attualmente in vigore
è senza ombra di dubbio ben strutturata, semmai si sentisse, come sembra, la
necessità di modificarla, andrebbero introdotti automatismi e conseguenze sul
piano disciplinare per il giudicante qualora i ritardi si caratterizzino a
causa di inutili rinvii e per richieste istruttorie improprie, le quali siccome
ingiustificate appaiono solamente utili ad uno scopo dilatorio. L’Oua propone
che si acceleri la procedura con l’applicazione del rito sommario semplificato
e con la devoluzione al Tribunale della determinazione degli indennizzi a
favore dei cittadini danneggiati».
(Da Mondoprofessionisti
del 30.5.2012)