Comm. Tributaria Reg. Lombardia, sez.
XXXI,
sent. 13.6.2013 n° 83/31/13
sent. 13.6.2013 n° 83/31/13
In materia di “tempistica” prescrizionale ai sensi del rimborso Iva, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia - con la sentenza 13 giugno 2013, n. 83/31/13 - ha stabilito che è applicabile il termine decennale, ai sensi dell’indebito oggettivo, art. 2033 c.c. e non quello biennale (a decorrere dal versamento dell’imposta non dovuta all’Erario), ai sensi dell’art. 21, comma 2, D.Lgs. 546/92.
I fatti del processo
Il
processo in questione traeva origine da un errore (ai fini del versamento Iva)
commesso dal contribuente italiano, il quale avendo eseguito lavori murali in
un immobile ubicato nel territorio francese, provvedeva a corrispondere la
relativa imposta a favore del fisco italiano; tuttavia, in seguito, l’Erario
francese richiedeva legittimamente l’assolvimento dell’Iva per i servizi
prestati dal soggetto, di conseguenza quest’ultimo si vedeva costretto a
versare “nuovamente” il medesimo tributo alla Francia.
Per
effetto di questa circostanza, il contribuente provvedeva a chiedere il
rimborso dell’Iva versata “in eccedenza” a favore dell’Amministrazione
finanziaria italiana (per gli anni di imposta 2007 e 2008), la quale tuttavia
decideva per il diniego, rilevando la tardività della domanda, atteso che anche
per il rimborso Iva trova operatività il regime biennale previsto dall’art. 21,
comma 2, D.Lgs. 546/92.
La sentenza dei giudici milanesi;
termine prescrizionale per il rimborso della maggiore Iva corrisposta (art.
2946 c.c.), ipotesi di indebito oggettivo (art. 2033 c.c.)
In
definitiva, la
Commissione Tributaria competente confermava quindi la
precedente decisione adottata dai giudici di primo grado, statuendo che in tema
di rimborso Iva è pacificamente vigente il termine decennale previsto dall’art.
2946 c.c.:[1] i diritti sono sempre esercitabili nel termine di dieci anni,
salvo previsioni diverse.
A
ben vedere, secondo i giudici milanesi, è del tutto infondato ritenere valido
il termine biennale per presentare l’istanza di rimborso Iva versata in
eccedenza, alla luce del vuoto normativo in materia: non esiste alcuna
disposizione nella legge Iva che stabilisca i tempi per il rimborso, dunque
prevale il termine decennale[2].
In
realtà non è la prima volta che la giurisprudenza propende verso un
orientamento favorevole al contribuente[3] ed in linea con le interpretazioni
comunitarie[4]; in particolare lo spirito della citata decisione è che l’art.
2946 c.c. prevede che tutti i diritti, compresi anche quelli di credito
fiscale, si prescrivano esclusivamente con il decorso di dieci anni.
In
particolare, il diritto al rimborso pro contribuente trova la propria ragion
d’essere giuridica nell’istituto civilistico (che in questa fattispecie ha
anche riflessi fiscali) dell’indebito oggettivo (art. 2033 c.c.)[5]
La
norma in esame prevede difatti che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha
diritto di ripetere ciò che ha pagato”.
In
altre parole, il soggetto (contribuente) - che ha pagato indebitamente una
somma ad un altro (Amministrazione finanziaria) - ha diritto di ottenere la
restituzione di ciò che ha corrisposto: nasce così, in capo a chi ha ricevuto
il pagamento, un’obbligazione di restituzione.
Si
tratta di un incasso di somme (corrisposte per un mero errore scusabile del
contribuente) che l’Agenzia delle Entrate tratteneva indebitamente: ciò
rappresenta un vizio sanabile, poiché l’ordinamento garantisce al soggetto la
possibilità di ottenere il rimborso di dette somme.
(Da Altalex del 26.2.2014. Nota di Federico
Marrucci)
______________
[1] L’art. 2946 c.c.,
afferma che, in generale “i diritti si estinguono per prescrizione ordinaria”
(ossia in 10 anni), “salvi i casi in cui la legge dispone diversamente”;
[2] Proprio su siffatte
conclusioni è approdata la Corte
di Cassazione con la sentenza n° 9816 del 14 giugno 2012, in ordine alla quale
ha statuito che le regole civilistiche sulla prescrizione si applicano anche ai
rimborsi Iva: “è tardiva la nota con cui il contribuente sollecita
l’Amministrazione al pagamento delle somme, se è inviata dopo 10 anni dalla
presentazione della dichiarazione stessa”;
[3] Cfr. Cass., n°
6538/2004 e n° 27948/2009; a ciò si aggiunga un’ulteriore valutazione,
supportata da una sentenza della S.C. (n° 7721 del 27 marzo 2013), in forza di
essa è stato deciso che anche in caso di cessazione dell’attività, il rimborso
del credito Iva, può essere richiesto dal contribuente con istanza da
presentare entro il termine ordinario di prescrzione decennale;
[4] Le regole
processuali dell’ordinamento nazionale non possono vanificare il diritto del
soggetto passivo di ottenere dal Fisco il rimborso dell’Iva, soprattutto nei
casi in cui il rimborso dell’imposta non risulti impossibile o eccessivamente
difficile, nel qual caso gli Stati membri dell’Unione Europea sono tenuti ad
adottare gli strumenti necessari per garantire il rispetto del principio di
effettività (C-427/10 del 15.12.2011);
[5] Per maggior
chiarezza espositiva, in materia proprio di rimborso Iva versata in eccedenza e
trattenuta dal Fisco, una recente sentenza della Corte di Cassazione, n°
20526/13 ha ampliato lo scenario favorevole al contribuente, prevedendo anche
la possibilità di avviare un procedimento “risarcitorio dell’amministrazione
per condotta illecita nei confronti del contribuente ovvero indennitario per un
indebito arricchimento” (art. 2041 c.c.), laddove il rigetto della richiesta di
rimborso rappresenti una ingiustizia giuridica e fiscale. Brevemente, l’art.
2041 c.c., il quale disciplina l’azione generale di arricchimento, prevede:
“chi, senza giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto,
nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa
diminuzione patrimoniale”; anche in tale ipotesi, il termine prescrizionale è
fissate in dieci anni.
In definitiva, i
giudici della Suprema Corte hanno quindi statuito che in materia di c.d.
rimborso di imposte corrisposte in eccedenza, sono pacificamente applicabili
(entro 10 anni dal pagamento non dovuto) sia l’istituto civilistico
dell’indebito oggettivo (art. 2033 c.c.), sia quello dell’arricchimento senza
giusta causa (art. 2041 c.c.): in tal modo, l’ordinamento assicura e garantisce
al contribuente, “colpevole” di essere stato inaspettatamente generoso a favore
dell’Erario, la concessione di una sanatoria derivante da un pagamento
tributario non richiesto (e trattenuto indebitamente nelle casse statali).