La
sesta sezione civile della Suprema Corte di Cassazione ha pronunciato
l'ordinanza n. 4420 del 25 Febbraio 2014 con la quale ha rigettato il ricorso
di un marito avverso la sentenza di secondo grado.
In
virtù di detta sentenza, infatti, la
Corte di Appello di Brescia aveva dichiarato la separazione
personale tra le parti con addebito al marito, ponendo altresì a suo carico il
pagamento di Euro 1.000 a
titolo di assegno di mantenimento a favore della moglie.
L'ordinanza
della Cassazione, in sostanza, conferma che la domanda di addebito avanzata
dalla moglie che scopre la relazione extraconiugale del marito grazie al
rinvenimento di foto che questi aveva occultato (nel caso di specie le aveva
nascoste in cassaforte), è legittima e fondata.
Ancora
una volta, dunque, la
Suprema Corte viene chiamata a decidere in ordine ad un
istituto, quale quello dell'addebito, considerato da gran parte della dottrina
e da molti operatori del diritto, desueto e pressochè inutile.
Tant'è
che la giurisprudenza è intervenuta negli anni a ridurre sempre più la
possibilità di ottenere la pronuncia di addebito della separazione, ancorando
tale risultato ad una ferrea prova della violazione del dovere matrimoniale
eccepito al coniuge ed ancorando la sussistenza effettiva di tale violazione a
presupposti precisi e causalmente vincolati al fallimento del matrimonio.
Nel
caso della infedeltà, non è quindi facile ottenere una pronuncia d addebito
della separazione a tale titolo, dovendo il ricorrente dimostrare che
l'eccepita infedeltà è stata la causa della fine della coniugio, oppure che le
modalità siano inequivocabilmente lesive della dignità personale del coniuge
tanto da rendere imperdonabile la violazione di tale dovere matrimoniale.
Sovente,
ottenere la pronuncia di addebito nei confronti del coniuge rappresenta una
sorta di riscatto morale per una ferita ingiustamente subita, in quanto, dal
punto di vista giuridico e del concreto vantaggio, la legge ben poco soddisfa
il richiedente.
Come
è noto, infatti, la pronuncia di addebito ha solo conseguenze negative nei
confronti di chi la subisce, ma non ha diretti effetti positivi a favore di chi
la ottiene.
In
altre parole, il coniuge al quale viene addebitata la separazione, perde il
diritto all'eventuale assegno di mantenimento e perde i diritti ereditari nei
confronti del coniuge. Con la conseguenza, dunque, che un soggetto
economicamente autosuffciente non subirà da una tale pronuncia alcun tipo di
nocumento.
Tornando
al caso in esame, il rinvenimento da parte della moglie di messaggi e foto
equivoche nascoste in cassaforte, sono state considerate prove sufficienti a
provare l'infedeltà del marito ed ad addebitargli la separazione.
Tuttavia,
è opportuno ricordare che può rivelarsi fatale la modalità con la quale il
coniuge tradito si procura le prove della infedeltà, dal momento che i rischi
di incorrere in responsabilità penale per interferenza illecita nella vita
privata, violazione della privacy, sottrazione di documenti ed altri reati annessi
e conseguenti, non sono da sottovalutare.
Nel
caso di specie, i giudici non hanno ravvisato nessuna violazione della privacy
del marito da parte della moglie, non potendosi considerare violati né il
domicilio, né la vita privata del coniuge traditore: la moglie, infatti, non si
era procurata le foto e i messaggini comprovanti l'infedeltà in modo illecito,
bensì scoprendole in casa propria, nella cassaforte di famiglia.
Quanto
al secondo aspetto della impugnata sentenza della Corte di Appello di Brescia, ovvero
quello riguardante la condanna al pagamento di 1000 euro al mese a favore della
moglie a titolo di assegno di mantenimento, l'ordinanza 4420/2014 della
Cassazione, rigettando il ricorso del marito, ha confermato l'ottenuto aumento
dell' assegno da parte della moglie in virtù della prova da quest'ultima
fornita della la sussistenza di redditi occulti che il marito percepiva ( i cd
"fuori busta"), oltre al suo normale stipendio mensile.
A
questo proposito, le dichiarazioni rese in giudizio dal datore di lavoro, sono
state ritenute prove insindacabili.
Secondo
gli Ermellini, il giudice del merito ha compiuto una attenta valutazione delle
risultanze probatorie, controllandone attendibilità e concludenza, nonché
effettuando una corretta scelta tra quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti
in discussione.
Al
marito non è rimasto, dunque che pagare pure le spese legali.
(Da ilsole24ore.com del
18.3.2014)