del Prof. Avv. Giulio Prosperetti
L'emergenza Giustizia non è da riferire solo alla Giustizia penale, ma forse, in maniera ancora più grave, si deve constatare il tracollo della Giustizia civile. La possibilità di far valere le proprie ragioni in via giudiziaria è praticamente preclusa dai tempi del giudizio, che non solo sono lunghi, ma sono sproporzionati rispetto alla urgenza dei problemi. Si dice normalmente che una causa vive più a lungo di un'azienda. Molti piccoli imprenditori, d'altra parte, sono costretti al fallimento per i lunghi tempi necessari alla riscossione coattiva dei loro crediti. È ormai quasi un luogo comune attribuire i mali della Giustizia all'eccessivo numero di Avvocati (sembra abbiano superato la cifra di 220.000), che sarebbero responsabili dell'abnorme numero di cause pendenti.
La giustizia come risorsa nella società post-industriale
Nell'attuale società post-industriale, dove si assiste alla deindustrializzazione e nascono nuovi bisogni meno materiali che la comunità richiede siano soddisfatti, non si vede perchè si debbano comprimere bisogni morali rispetto a quelli materiali. Insomma, perchè se si producono più automobili, che inquinano e danneggiano l'ambiente, ciò viene rilevato come un dato positivo per l'economia e se, invece, si producono più cause, che implementano non solo il PIL della soddisfazione, ma anche quello reale (una causa costa, mediamente, più di un'automobile ed ha un notevole indotto), ciò viene, invece, rilevato come una patologia sociale? Ora, non si comprende perché il desiderio di Giustizia, anche spogliato delle sue connotazioni di valore sociale, non possa essere annoverato tra i settori trainanti di un importante comparto. La causa è invece il più delle volte una sorta di partita a scacchi tra avvocati, dato questo sicuramente patologico rispetto ad un astratto criterio di Giustizia, ma ciò è il risultato storico delle codificazioni napoleoniche. Infatti, mentre il Giudice anglosassone scopre il diritto nella sua immanenza nella società, il Giudice continentale è solo l'esegeta del codice, un giudice macchina, la bouche de la loi e, pertanto, è schiavo del ragionamento giuridico e del suo tecnicismo sul quale, appunto, giocano gli Avvocati. Sono però proprio i cittadini a sviluppare una mentalità causidica e a privilegiare il ricorso al giudice, e a sfidare l'alea del giudizio in un radicato convincimento nel trionfo della giustizia formale. Insomma, se da una parte vi sono questioni che indubbiamente possono essere risolte in sede di conciliazione, altre possono essere risolte da un giudice in funzione di preliminare conciliatore. Solo i Magistrati che hanno già attentamente studiato la causa sono in grado di condurre una congrua trattativa conciliativa e ad esempio la preventiva conciliazione obbligatoria in sede amministrativa per le controversie di lavoro si è sempre risolta in un inutile passaggio burocratico. L'arbitrato suscita, invece, molte suggestioni, ma per poter funzionare servono gli arbitri, persone esperte e indipendenti, che vivono la loro professionalità proprio alla luce della loro indiscussa indipendenza e un corpo di professionisti aventi tali caratteristiche non si crea in breve tempo e, soprattutto, necessita di un conforme contesto culturale. Purtroppo la cosiddetta cultura dell'arbitrato è declinata in modo molto peculiare nel nostro Paese, raramente si cerca l'arbitro indipendente, più spesso si cerca l'arbitro amico, sicchè normalmente gli arbitrati attraversano una fase preliminare di ricusazioni incrociate. Diverso problema è quello relativo al recente ingresso, nel nostro ordinamento, della mediazione obbligatoria, che può essere svolta non soltanto dagli Avvocati, ma anche da altre categorie professionali. La previsione normativa che consente di accedere al mediatore senza l'assistenza di un Avvocato, sembra prefigurare un ruolo del conciliatore incentrato su di un profilo equitativo. Ma l'esperienza mi ha insegnato che i più causidici sono proprio i non giuristi. Insomma, proprio chi vanta un'infarinatura giuridica si compiace delle teorizzazioni più pignole, che invece il giurista sa come esorcizzare. Il problema è se esiste, nella coscienza sociale, un concetto di equità e di giustizia che prescinda dal diritto formale, giacchè solo in questo caso (ma il mio parere è negativo) avrebbe spazio l'istituto della mediazione. Va soddisfatta la domanda di giustizia formale. Ecco allora che non è con gli strumenti tesi a deflazionare il contenzioso che si risolve il problema della Giustizia nel nostro Paese. E poi, perchè si deve deflazionare l'accesso ad un servizio che è capace di muovere rilevanti interessi sul piano economico, che ha un grosso indotto e potenzialità occupazionali? In realtà, stante il grande numero di Avvocati nel nostro Paese, potremmo dirci in grado di dare a tutti i cittadini la possibilità di avere la Giustizia vera e formale che richiedono, senza dover accettare forzatamente degli insoddisfacenti surrogati. Ora, il paradosso è il seguente: c'è indubbiamente una grande domanda di Giustizia, a fronte di una altrettanto grande offerta del relativo “servizio”, ma il sistema non funziona. Se nonostante le difficoltà e la scarsa efficacia del nostro sistema giudiziario il numero dei procedimenti civili è in continua crescita, credo che si debba dare una risposta coerente a tale domanda, senza cercare di dirottarla verso soluzioni non conformi alla nostra esperienza e al carattere dei potenziali fruitori della Giustizia. Insomma, la sfida è quella di trasformare un problema sociale, l'eccessivo numero di Avvocati, in una risorsa per il Paese. È infatti paradossale che da una parte vi sia una forte domanda di giustizia formale e che vi siano anche professionalità adeguate a soddisfare tale domanda, mentre il pensiero political correct è invece nel senso che le cause non si debbano fare e che si debbano invece incentivare gli strumenti alternativi al processo, come la conciliazione e l'arbitrato.
La proposta
Se vi sono risorse sufficienti ad assicurare la Giustizia formale, e se la domanda sociale è proprio per tale forma di risoluzione delle controversie e se, infine, tutto ciò può contribuire favorevolmentre al prodotto interno lordo nazionale, non si comprende perchè invece di seguire tale coerente indicazione si cerchino soluzioni tese a comprimere un'esigenza che può invece rappresentare un'opportunità economica. Se gli Avvocati sono in eccesso, lo sono non in assoluto, ma in rapporto all'incapacità del sistema di esitare le cause che gli stessi introducono. Servirebbe un elevato numero di Magistrati per riportare la situazione in equilibrio. Reclutare Giudici onorari non dovrebbe comportare problemi di principio, atteso che già oggi i Giudici onorari sono altrettanti rispetto ai Giudici togati. La garanzia della competenza tecnica può essere risolta affidando tale funzione non già a semplici laureati in Giurisprudenza, come avviene per i Conciliatori, ma ad Avvocati che scelgano di transitare iin un ruolo speciale della Magistratura. Può porsi un problema di indipendenza di tali Giudici onorari, che avendo esercitato in un determinato contesto, possono intrattenere rapporti capaci di viziare la loro terzietà; il problema può essere risolto in diversi modi: sia facendo rinunciare a tali Avvocati a riprendere la professione, sia impiegandoli in distretti diversi; sia ristabilendo, anche in primo grado, la collegialità del giudizio. Molti colleghi avvocati da me intervistati sul tema mi hanno confermato che avrebbero maggiore fiducia in un collegio stabile di tre avvocati piuttosto che nell’attuale sistema che rimette ad un giudice unico il primo grado di giudizio. Quanto ai costi, non dovrebbe stupire la possibilità di accedere ad una Giustizia più rapida ad esempio prevedendo un congruo deposito di soccombenza, ovvero una cifra a fondo perduto. Se l'interesse è ad una Giustizia rapida e le poste in gioco sono notevoli, perché non dare all'attore la possibilità di pagare una Giustizia formale comunque preferibile ai sempre più costosi strumenti arbitrali? I tentativi del legislatore di deflazionare il contenzioso attraverso strumenti alternativi ha creato l’effetto opposto:penso al condono previsto per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti che, nelle incertezze applicative, ha paralizzato l’ordinario svolgimento dei giudizi, e tremo a pensare a ciò che succederà in applicazione della riforma del codice di procedura civile, che ha previsto l’accertamento tecnico preventivo nel giudizio previdenziale, per cui, stando a tale novella, si dovrebbero fare complesse consulenze tecniche preventive anche in assenza degli altri presupposti necessari per il conseguimento della prestazione previdenziale. Và sicuramente considerata la proposta di estendere a tutti i giudizi il rito del lavoro che, nella sua prassi applicativa, ha prodotto un rito dominato dal giudice che, secondo i casi, nella virtuale unicità dell’udienza può autorizzare o meno ulteriori scritti difensivi a chiarimento di particolari questioni e che, ove vi fosse un adeguato numero di giudici, ben potrebbe garantire la tempestività delle decisioni. Và infine ribadito che l’unica conciliazione efficace - questa si utile a deflazionare il contenzioso- è quella rimessa ad un giudice informato della causa e non certo quella di un conciliatore che prescinda dalla prospettazione giuridica delle questioni. Ricordo l’abilità di un giudice del lavoro che riuscì a far conciliare un complesso contenzioso, limitandosi ad indicare a ciascuna delle parti i punti deboli delle rispettive difese, senza pronunciarsi nel merito di chi avesse ragione.
(Da Mondoprofessionisti del 25.11.2011)