La Cassazione conferma la sospensione dall’esercizio di un legale
che rappresentava una cliente nei confronti della società della coniuge
Il consiglio nazionale forense ha inflitto una sanzione disciplinare con la sospensione dall'esercizio della professione per cinque mesi a un avvocato che si sarebbe reso responsabile della violazione degli articoli 16 e 37 del Codice deontologico forense per aver svolto attività di mediazione e aver prestato assistenza professionale in situazione di conflitto di interessi.
L'avvocato decide di ricorrere in Cassazione contro il provvedimento sanzionatorio eccependo di non essere incorso in alcun conflitto d'interessi "da una parte la persona (sua cliente) che poi lo ha denunciato e dall'altra una società che faceva capo alla moglie e alla suocera". La tesi difensiva si basava su questo assunto: il cliente dell'avvocato non avrebbe subito alcun danno dalla situazione di conflitto potenziale.
La Corte di Cassazione, rifacendosi alla disposizione del giudice disciplinare, risponde che "l'illecito si consuma con il verificarsi della situazione che mette a rischio il rapporto fiduciario tra avvocato e cliente". La possibilità del rischio, dunque, è sufficiente a far scattare il provvedimento sanzionatorio.
L'articolo 37 del Codice di deontologia forense, infatti, intende evitare situazioni che possano far dubitare della correttezza dell'operato dell'avvocato e, quindi, perché si concretizzi l'illecito, basta che potenzialmente l'opera del professionista possa essere condizionata da rapporti di interesse con la controparte.
"Facendo riferimento alle categorie del diritto penale, l'illecito contestato all'avvocato è un illecito di pericolo e non di danno": dunque, l'asserita mancanza di danno è irrilevante perché il danno effettivo non è elemento costitutivo dell'illecito contestato.
Alberta Perolo (da famigliacristiana.it del 22.11.2011)