Cass. Civ., sez. III, sent. 27.8.2013 n° 19591
In caso di sinistro cagionato da veicolo non identificato, la responsabilità del Fondo di garanzia delle vittime della strada, attraverso l'impresa a ciò designata, è limitata ai danni alla persona, non potendo essere in alcun modo riconosciuto il risarcimento del danno alla vettura.
E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione Civile, sezione III, con la sentenza 27 agosto 2013, n. 19591, richiamando l’art. 19, comma 2, della Legge n. 990 del 1969, sostanzialmente riprodotta nell'art. 283, comma 2, del Codice delle Assicurazioni (Dlgs 209/2005), oggi vigente.
Nella fattispecie, il conducente e il proprietario di un veicolo rimasto coinvolto in un sinistro stradale con altro veicolo datosi alla fuga e rimasto non identificato, citavano in giudizio la Compagnia assicurativa per ottenere il risarcimento dei danni materiali, morali e fisici.
Il conducente infatti, come risultava dalla documentazione medica debitamente prodotta, aveva subito lesioni personali a seguito del sinistro, ma il Giudice di pace aveva respinto la domanda.
Gli attori proponevano appello e il Tribunale di Teramo riformulava la pronuncia condannando la SAI s.p.a. al pagamento del risarcimento a titolo di danno morale e di danno all'autovettura, ritenendo che la C.t.u. riportasse una descrizione dei danni riportati dalla vettura incidentata corrispondenti alla dinamica dell'incidente come descritta, con una probabilità di circa il 60 per cento.
La Fondiaria SAI s.p.a. propone ricorso per Cassazione affidandosi a tre motivi. I primi due motivi, legati all'onere della prova sul fatto che il sinistro si sia verificato per fatto doloso o colposo di altro veicolo e che la denuncia sia stata sporta otto ore dopo il presunto incidente e senza che in essa siano state menzionate le lesioni subite, diagnosticate solo dopo due giorni, vengono dichiarati inammissibili sulla base di quanto già statuito precedentemente dalla giurisprudenza.
In particolar modo, facendo il ricorso riferimento al periodo di vigenza dell'art. 366-bis c.p.c., che imponeva che ciascun motivo di ricorso fosse concluso dalla formulazione di un quesito di diritto e che, in relazione alla censura di vizio di motivazione, venisse fornita chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale si assumeva che la motivazione fosse mancante, insufficiente o contraddittoria, gli Ermellini specificano che il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, in modo tale che il giudice di legittimità possa enunciare una regula iuris suscettibile di trovare applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Riportano quanto stabilito dalle Sez. Un., sentenza 11 marzo 2008, n. 6420: “E' inammissibile, perciò, il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un'enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo.”
Il terzo motivo di ricorso con il quale si lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione della L. n. 990 del 1969, art. 19 e dell'art. 113 c.p.c., in relazione al tipo di danno per il quale il Tribunale ha riconosciuto il risarcimento, è stato accolto.
Infatti la Suprema Corte ha riscontrato nella sentenza impugnata, una evidente violazione di legge disposta in favore del proprietario del veicolo incidentato, al quale è stato risarcito il danno alla vettura nella misura di Euro 3.181, contravvenendo alla chiara statuizione enunciata nell’art. 19, che prevede che in caso di responsabilità dell'impresa designata dal Fondo di garanzia, il risarcimento sia limitato ai danni personali.
(Da Altalex del 24.9.2013. Nota di Enrica Maria Crimi)