Deve escludersi che si possa configurare una
incompatibilità con la professione forense con la mera titolarità di una
concessione economica come quella per la distribuzione di carburanti, laddove
l'impianto sia poi gestito da terzi, dal momento che (l'avvocato titolare) non
è investito di alcun potere di gestione dell'impresa né di rappresentanza: ne
consegue che non si può negare all'interessato l'iscrizione alla cassa forense.
Lo ha stabilito la Corte
di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza 16 ottobre 2013, n. 23536. Il
giudice di merito evidenzia come l'articolo 3, regio decreto legge 1578/1933,
distingue espressamente casi di incompatibilità con la professione di avvocato
collegati all'esercizio di attività, quali il commercio in nome proprio o altrui,
da altri collegati, invece, all'assunzione di una determinata qualità; inoltre,
essendo documentalmente provato che la sola titolarità della concessione faceva
capo all'interessato, in quanto l'attività di gestione degli impianti era
affidata a terzi, non sussiste alcuna incompatibilità, stante la prevista
scissione tra titolarità ed esercizio della concessione da parte dell'articolo
16, decreto legge 745/70. La
Corte di Cassazione sottolinea ulteriormente che
l'incompatibilità dell'esercizio della professione forense di cui all'articolo
3, regio decreto legge 1578/1933, che preclude, ex articolo 2, comma 3 ,legge
319/75, sia l'iscrizione alla Cassa, sia la considerazione ai fini del
conseguimento di qualsiasi trattamento previdenziale forense del periodo di
tempo in cui l'attività incompatibile sia svolta, è quella con l'esercizio del
commercio in nome proprio o in nome altrui. La mera titolarità della
concessione per impianti di carburanti non è ostativa all'esercizio della
professione forense.
(Da studiocataldi.it)