E’ illegittimo vietare la destinazione d’uso a locale
pubblico per tutelare la quiete di un edificio quando le emissioni sonore
risultano tollerabili, secondo quanto stabilito dall’art. 844 c.c.
Agisce in errore il condomino che, facendo valere
quanto contenuto nel regolamento condominiale, pretende di limitare la
destinazione d’uso di attività commerciali le cui immissioni sonore rientrino
nella soglia suddetta, potendo farlo solo ai fini del perseguimento
dell’obbligo di protezione.
E’ quanto ha dichiarato la Corte di Cassazione con la
sentenza 8 ottobre 2013, n. 22892.
Nella fattispecie, l’attrice G.P. in primo grado
citava dinanzi al tribunale di Benevento un condomino del suo stesso palazzo e
il rispettivo condominio di riferimento, impugnando la delibera dell’assemblea
condominiale per ottenere l’accertamento e la dichiarazione dell’illecita
destinazione a bar dei locali commerciali di esclusiva sua proprietà, sulla
base di quanto stabilito dall’art. 12 del regolamento condominiale, contenente
il divieto di destinare gli alloggi individuali e i locali condominiali ad
attività che fossero incompatibili con il decoro e la tranquillità
dell’edificio.
La sentenza, che accoglieva la richiesta
dell’attrice, veniva poi riformata dalla Corte d’appello, che riteneva
l’attività commerciale perfettamente lecita. Statuiva altresì che la delibera
assembleare determinante in capo ai singoli condomini l’insorgenza di un
obbligo di protezione nei confronti degli altri, non era stata mai accettata
formalmente per iscritto ai sensi dell’art. 1350 c.c., e quindi non poteva
esser considerato come recepita dal regolamento condominiale.
La ricorrente G.P. sottoponeva all’attenzione degli
Ermellini quattro motivi; di questi l’ultimo, avente ad oggetto la violazione e
falsa applicazione dell’art. 184, 356, e 112 c.p.c., veniva accolto.
La
Suprema Corte statuiva
che la doglianza appariva fondata in quanto la domanda relativa al ristoro del
danno morale, biologico e patrimoniale, conseguente al deprezzamento del valore
dell’immobile della ricorrente, causato dalle conseguenti immissioni superiori
alla soglia di normale tollerabilità, provenienti dagli esercizi commerciali
ubicati nei locali di proprietà del condomino, era oggetto di statuizione
autonoma e non poteva essere assorbito dalla richiesta di danni.
Dichiarava altresì che: “la statuizione del
condominio era stata presa all’unanimità, per cui doveva ritenersi vincolante
anche nei confronti del” condomino che non l’aveva formalmente accertata,
decretando quindi che la delibera assembleare che determinava in capo ai
singoli condomini l’insorgenza di un obbligo di protezione nei confronti degli
altri non necessitava di forme speciali.
Inoltre, “secondo la corretta interpretazione della
delibera assembleare in questione, con la stessa tutti I condomini si erano
presi l’impegno reciproco, non tanto di vietare l’utilizzo dei locali ad
attività incompatibili con la destinazione della quiete pubblica, quanto
piuttosto di perseguire tale ultima finalità (obbligo di protezione).”
(Da Altalex del 28.10.2013. Nota di Enrica Maria Crimi)