L’uomo era quindi rimasto in carcere, nonostante
dalle varie relazioni mediche e perizie fosse emerso che il suo quadro clinico
era sicuramente grave, e nonostante la sua età avanzata.
Ciò, in virtù del fatto che, ad avviso dei giudici
del merito, non v’erano comunque elementi che affermassero che «i processi
degenerativi in atto dello stato patologico»venissero aggravati dalla
detenzione. Ma la Corte
suprema di legittimità ha evidenziato come le condizioni dell’imputato vadano
valutate non solo al momento dell’accertamento, ma anche in base alle loro
prevedibili involuzioni cliniche.
Pertanto il tribunale di merito ha erroneamente
sottovalutato l’età dell’uomo così come la sua depressione in atto. Tali
elementi non possono essere trascurati, soprattutto in omaggio al principio
rieducativo della pena (art. 27. comma 3, della Costituzione, ai sensi del
quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di
umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato) e al fondamentale
diritto alla salute (che riceve tutela espressa in base all’art. 32 Cost.).
Inoltre, per il nostro codice di procedura penale, è
ammessa la custodia cautelare in carcere di persona di età superiore ai 70 anni
ma solo in costanza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (art. 275,
comma 4, c.p.p).
Niente carcere, dunque, concludono gli ermellini,
alla persona affetta da malattia particolarmente grave da rendere le sue
condizioni di salute incompatibili con lo stato detentivo o non adeguatamente
curabili.
Lucia Nacciarone (da diritto.it del 29.10.2013)