Cass. Civ., sez. VI - 3, ord. 4.10.2013 n° 22684
La Corte d’Appello di Taranto confermava la sentenza con la
quale, il Tribunale aveva rigettato la pretesa della parte attrice avente ad
oggetto il risarcimento dei danni subiti a seguito di caduta nei pressi di un
tombino dissestato, motivando il rigetto con l’incidenza della condotta della
ricorrente nella determinazione dell’accadimento, qualificabile quale diretta
conseguenza della distrazione e della mancanza di diligenza della stessa, che
consentiva di escludere la responsabilità del custode.
Avverso la sentenza di secondo grado, l’istante
presentava ricorso per Cassazione, fondando il proprio gravame su quattro
motivi:
violazione
di legge quanto alla ripartizione dell’onere della prova con riguardo al
risarcimento del danno da cose in custodia e contraddittoria motivazione;
omessa
motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dalla
condotta colposa del Comune, ravvisabile nella mancata manutenzione del
tombino;
omessa
motivazione quanto alla valutazione delle circostanze del fatto, data l’erronea
attribuzione, da parte del Tribunale, di un rilievo decisivo e determinante
alla condotta della ricorrente, omettendo di considerare la ragionevole
aspettativa del pedone della sicurezza del manto stradale che limita o esclude
la necessità di un continuo e scrupoloso controllo dello stato dei marciapiedi;
vizio di
motivazione della sentenza, costituita dall’aderenza ad un orientamento del
Tribunale di Taranto contrario alle ragioni della ricorrente.
La Corte di Cassazione rigettava il gravame, fondando la
propria decisione sull’analisi del profilo causale dell’evento.
La
Suprema Corte
evidenziava che l’accertamento relativo all’efficienza causale della condotta
del danneggiato nella determinazione dell’evento dannoso era demandato al
giudice di merito, la cui valutazione doveva ritenersi insindacabile, in sede
di legittimità, se congruamente motivata.
Indi riteneva ampliamente motivata la sentenza e
congruamente considerato il profilo causale dell’evento anche alla luce
dell’inversione dell’onere della prova operata dall’art. 2051 c.c. Invero
l’onere spettante al custode, di dimostrare il fortuito per sottrarsi alle
conseguenze del danno cagionato dalle cose custodite, non esonera il
danneggiato dalla prova del nesso causale tra la cosa custodita e il danno.
Nel caso di specie, l’analisi del nesso causale
consentiva di ritenere configurabile e provato un comportamento colposo del
danneggiato, connotato da distrazione e mancanza di diligenza ed idoneo ad
interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e l’evento.
L’ordinanza giunge in tal modo a circoscrivere la
portata della responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia entro i
limiti dell’efficienza causale valutata in concreto, attribuendo un rilievo
determinante alla condotta del danneggiato, richiedendo, ai fini
dell’attribuzione della responsabilità all’Ente, una situazione di pericolo,
cagionata dalla cosa custodita, che l’utente medio non è in grado di prevedere
o evitare facendo uso della normale diligenza. Tale valutazione consente di
valutare nel caso concreto l’efficienza causale del comportamento del
danneggiato nella progressione dei fatti, escludendo la presunzione di colpa
del custode.
Trattasi invero di una responsabilità oggettiva che la Suprema Corte ha
ritenuto configurabile solo previa esclusione di due fattori costituiti dal
caso fortuito e dall’incidenza causale della condotta del danneggiato.
(Da Altalex del 15.10.2013. Nota di Elisa Ghizzi)