La ricetta per far funzionare la giustizia è semplice: riorganizzazione e managerializzazione degli uffici giudiziari, riduzione delle sezioni distaccate, potenziamento del processo telematico, più giudici e riforma della magistratura onoraria.
Però non si fa mai nulla, se non ipotizzare la chiusura di tribunali. No all’emendamento da inserire nella manovra economica. L’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana chiede a tutti gli attori del sistema giustizia di aprire un confronto serio sulla riorganizzazione della macchina giudiziaria, evitando improvvisazioni e interventi spot, come quello avanzato qualche settimana fa che prevedeva la chiusura dei cosiddetti “Tribunali minori”.
Qui non sono in gioco gli interessi particolari degli avvocati, ma quelli generali dei cittadini.
Se esiste, infatti qualche timido esempio di funzionamento del processo secondo le medie ritenute accettabili dall'Europa questo si trova proprio in quelli che attualmente sono impropriamente definiti "“Tribunali minori”, nei quali il cittadino trova attenzione ai suoi problemi e una discreta celerità nella loro soluzione.
Una rivisitazione della geografia giudiziaria può e deve essere compiuta soltanto in esito ad una indagine scrupolosa sul territorio – continua - sulle risorse, sulla domanda di giustizia e sue tipologie, sulla viabilità, sui carichi di lavoro, sul funzionamento, sulle realtà sociali ed economiche, sulla criminalità diffusa.
Le ragioni di specializzazione o di incompatibilità del Magistrato - aggiunge de Tilla - su cui sembra fondarsi essenzialmente l’individuazione dell’Organico del “Tribunale ottimale” possono essere sì importanti, ma non uniche; vi sono aspetti legati al territorio, alle comunicazioni, al tessuto sociale che non possono essere sacrificati tout court ad una efficienza tutta da accertare, non dovendosi dimenticare che il presidio di legalità che oggi è presente in tutti i Tribunali Italiani (compresi anche gli 80 individuati) costituisce un patrimonio non disperdibile. Val la pena aggiungere che la giustizia non va assolutamente osservata solo in termini di produttività aziendale. Essa, pur in presenza di congiunture particolari come quella attuale, rimane un bisogno primario della collettività (come sanità e della scuola), e, come tale, i suoi costi devono considerarsi come socialmente utili e doverosamente riassorbibili. La revisione della circoscrizioni non dovrà essere attuata partendo da semplici dati asettici, estrapolati dal contesto di ogni singolo circondario, ma potrà essere attuata solo dopo un attento e approfondito esame della struttura sociale ed economica del territorio, dall’analisi non esclusivamente quantitativa, ma essenzialmente qualitativa di dati “certi” e “verificati”, a cui pervenire con la collaborazione dell‘avvocatura territoriale, unica categoria in condizione di fornire indicazioni reali di riferimento sui bisogni delle specifiche realtà locali. Non solo: la revisione della circoscrizioni dovrà tener conto di quell’esigenza comune e da tutti sentita come irrinunciabile di salvaguardare il valore ed il principio della giustizia di prossimità, elemento cardine e di riferimento per ogni intervento di razionalizzazione.
La ricetta per far funzionare la giustizia è semplice e in molti casi con la condivisione di avvocati e magistrati: riorganizzazione e managerializzazione degli uffici giudiziari, chiusura delle sezioni distaccate, potenziamento del processo telematico, più giudici e riforma della magistratura onoraria. Però non si fa mai nulla, a causa di interessi particolari, delle sterili contrapposizioni tra maggioranza e opposizione, per un evidente immobilismo. Se non, ciclicamente, minacciare di chiudere tribunali.
Maurizio De Tilla, presidente OUA (da Mondoprofessionisti del 2.9.2011)