La condotta illecita di un avvocato, che violi sistematicamente i doveri di lealtà, probità e correttezza tipici della professione forense, giustifica l’irrogazione della sanzione disciplinare più grave: la cancellazione dall’albo. Lo ribadisce la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16173 del 25 giugno.
La fattispecie
L’Ordine degli Avvocati di Roma irroga la sanzione della cancellazione dall’albo ad un avvocato ritenuto colpevole di iscrivere più volte a ruolo la stessa causa, così indebitamente determinando l’assegnazione di un’unica causa a giudici diversi e la conseguente possibilità di scegliere il giudice, in violazione dei doveri di correttezza, lealtà e probità che dovrebbero guidare la professione forense. Il CNF respinge l’appello dell’avvocato, il quale propone ricorso per cassazione.
Sistematicità del comportamento scorretto
Il Consiglio Nazionale Forense ha rilevato come l’incolpato avesse adottato una modalità d’azione sistematica, durata dal 1988 al 2003 e consistente nell’iscrivere ripetutamente al ruolo generale del Giudice di Pace di Roma la stessa causa, depositando i fascicoli e gli atti «corredati da mandati alle liti autenticati recanti nominativi diversi da quelli di volta in volta dichiarati ovvero alterati rispetto all’originale rilascio, ovvero apocrifi». Una sola causa, infiniti depositi, in genere mediante la leggera modifica dei cognomi delle parti, ma in alcuni casi anche reiterandoli sic et simpliciter.
«Agivo a tutela degli interessi dei miei assistiti». Ma con mezzi illeciti
L’incolpato, peraltro, ha ammesso gli addebiti ascrittigli, adducendo giustificazioni ritenute inaccettabili dal collegio: egli sostiene, infatti, di avere agito a tutela degli interessi dei propri assistiti, evitando che la causa fosse decisa da giudici meno benevoli e privilegiando quelli in astratto più favorevoli. Il CNF si limita ad osservare, in proposito, che l’interesse del cliente deve essere perseguita con mezzi leciti. E non è questo il caso, evidentemente.
Le ammissioni dell’incolpato rendono superflua un’istruttoria
Proprio su questo assunto si fonda la decisione della S.C. in ordine al rigetto del ricorso dell’avvocato: il riconoscimento della commissione dell’illecito rende superflua qualsiasi richiesta istruttoria, non necessitando elementi di prova ulteriore per accertare i fatti ascritti al ricorrente.
Sanzionato il comportamento in sé, anche in assenza di eventuali conseguenze dannose
Né può trovare accoglimento la censura relativa alla mancanza della prova di danni provocati a terzi con la condotta contestata, perché ciò che è stato sanzionato è proprio il compimento del comportamento dell’avvocato, non le conseguenze di esso, le quali, ove eventualmente produttive di danno, avrebbero costituito un’ulteriore fonte di responsabilità disciplinare.
La condotta reiterata giustifica la sanzione più grave
Il Collegio conferma anche la misura della sanzione irrogata, che è la più grave possibile, la cancellazione dall’albo. Ciò appare, infatti, giustificato dalla condotta tenuta dal ricorrente, protratta nel tempo e concretizzatasi in almeno cento episodi, tale da portare discredito alla Giustizia nel suo complesso.
In presenza di una violazione reiterata dei doveri di probità, lealtà e correttezza, che dovrebbero guidare la professione forense, «la sanzione irrogata appare congrua e commisurata alla gravità dell’illecito perpetrato».
(Da avvocati.it del 5.8.2011)