di Matteo Santini (Foro di Roma)
Alla luce dell’articolo 3 del decreto legge emanato dal Governo in materia di disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria per lo sviluppo, e in attesa di conoscerne la sorte definitiva, il ddl 1198 sulla riforma forense approvato dal Senato e ora all’esame della Camera dei Deputati dovrà necessariamente essere rivisto o meglio ritirato (vista l’opportunità di una nuova stesura che tenga conto dei principi dettati al decreto sopra citato).
Prescindiamo in questa sede da tutte le problematiche inerenti l’evidente incompatibilità tra le disposizioni inserite nella manovra finanziaria ed alcune norme contenute nel ddl sulla riforma professionale (ad esempio in materia di esame di stato, pratica forense, pubblicità, ecc.). Mi soffermo ad esaminare solo l’articolo 10 del ddl 1198 il quale, in materia di formazione obbligatoria continua degli avvocati, stabilisce una esenzione dal suddetto obbligo per gli avvocati specialisti.
Appare evidente l’irragionevolezza della disposizione in esame. Infatti, se il titolo di specialista non comporta riserva di attività professionale e se lo “specialista” può esercitare la professione anche in settori del diritto nei quali non è specializzato, allora non si comprende il motivo per il quale, egli non debba seguire corsi di formazione come tutti gli avvocati “non specialisti”.
Tanto più se si considera il fatto che lo specialista svolgerà presumibilmente la propria attività in via prevalente nelle materie in cui è specializzato, affrontando di rado questioni giuridiche connesse agli altri rami del diritto, richiedendo ciò un aggiornamento maggiore rispetto agli avvocati “generici”.
Ma dove l’articolo 10 sulla formazione continua appare ancor più irragionevole ed iniquo è sulla esenzione dall’obbligo della formazione obbligatoria per i membri del parlamento nazionale ed europeo, per i consiglieri regionali, per i presidenti di provincia e gli assessori provinciali, per i sindaci e gli assessori di comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti.
Non si comprende il perché i suddetti soggetti dovrebbero avere, oltre a tutti i privilegi che non è il caso in questa sede di citare, anche quello di essere esonerati dall’obbligo di formazione. Qualcuno potrebbe obiettare che la ratio dell’esenzione è quella di consentire ai signori sopra citati di potersi dedicare in toto al loro mandato; ma allora rispondo che lo stesso vale per l’esercizio della professione. Se i suddetti colleghi privilegiati hanno il diritto – dovere di dedicarsi full time alla cura della cosa pubblica, certamente non possono contemporaneamente continuare ad esercitare la professione.
Non mi pare che sia scritto da nessuna parte che i parlamentari, vengono sospesi dall’esercizio della professione durante il periodo del loro mandato elettorale. Mi pare davvero una norma odiosa la quale rischia di allontanare ulteriormente i colleghi parlamentari dalla base dell’avvocatura. Il principio deve necessariamente essere il seguente: se l’avvocato parlamentare può continuare ad esercitare la professione forense anche durante il mandato parlamentare, deve essere aggiornato e si deve formare come gli altri. L’elezione a parlamentare non infonde la scienza dall’alto. Se si decide di lasciare ai colleghi parlamentari il privilegio di continuare ad esercitare la professione in costanza di mandato (in pratica si attribuisce loro il potere di scrivere le leggi che poi vengono applicate nelle cause che patrocinano), che almeno abbiano gli stessi obblighi di noi comuni mortali.
Mi consola almeno che, ai sensi dell’articolo 11 del ddl 1198 quanto meno il Presidente della Repubblica durante il periodo della carica, se avvocato, venga sospeso dall’esercizio della professione!
(Da Mondoprofessionisti dell’1.9.2011)