Ai fini della configurazione del reato di stalking, ex art. 612 bis c.p., non occorre una rappresentazione anticipata del risultato finale.
E’ sufficiente la consapevolezza costante, nel progressivo sviluppo della situazione, dei precedenti attacchi nonché dell’apporto che ognuno di questi arreca all’interesse protetto.
Consapevolezza insita nella perdurante aggressione da parte del ricorrente della sfera privata della persona offesa.
Nella vicenda oggetto di controversia un uomo era stato condannato per il reato di stalking dai giudici di merito, in considerazione delle numerosissime telefonate fatte alla “vittime”, dei molteplici messaggi sul cellulare, scenate di gelosia, nonché intrusioni moleste poste in essere.
La difesa dello stalker era basata sul fatto che avrebbe dovuto escludersi la configurabilità del reato contestato per assenza di dolo specifico e di uno scopo premeditato.
Di contrario avviso i giudici di legittimità dinanzi cui si era spostata la questione; secondo quanto precisato dalla corte nella sentenza in commento, perché possa integrarsi il reato di stalking non è necessario che persecutore sia consapevole dello scopo che vuole ottenere, in quanto è sufficiente che lo stesso abbia volontà e consapevolezza di assumere comportamenti minacciosi in grado di condizionare la vittima.
Nella decisione in oggetto si legge testualmente, ricordando precedenti sul tema, che “è configurabile il reato di stalking quando il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, abbia cagionato nella vittima un grave e perdurante turbamento emotivo ovvero abbia ingenerato un fondato timore per l’incolumità proprio o di un prossimo congiunto o di una persona allo stesso legata da una relazione affettiva ovvero ancora abbia costretto lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita, bastando, inoltre, ad integrare la reiterazione, quale elemento costitutivo del suddetto reato, anche due sole condotte di minaccia o molestia” (sul punto cfr. Cass. n. 8832/2011; Cass. n. 7601/2011; Cass. n. 16864/2011; Cass. n. 29872/2011; Cass. n. 24125/2012).
(Da Altalex del 20.5.2013. Nota di Manuela Rinaldi)