Cass. Civ. Sez. I, sent. 10.5.2013 n. 11218
Perde il diritto all’assegnazione della casa coniugale perché utilizza “stabilmente”, insieme alla figlia, l’abitazione dei propri genitori.
Così la sentenza in esame interviene revocando l’assegnazione della casa coniugale alla madre affidataria della figlia minore, vivendo entrambe, in maniera stabile ed irreversibile, presso l’abitazione dei genitori materni, utilizzando solo occasionalmente l’assegnata casa familiare, prevalentemente durante l’estate, con esclusione dei periodi in cui si trasferiscono in vacanze in altro luogo.
Nella specie, il carattere del tutto saltuario della utilizzazione dell’abitazione familiare, da parte della madre e della figlia, esclude che questa possa ancora rappresentare l’habitat domestico della minore, venendo meno l’esigenza abitativa, prevalente su qualsiasi altra, di conservare ai figli di coniugi separati, l’habitat domestico, da intendersi centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la casa familiare, divenendo domicilio principale l’abitazione dei nonni.
Provvedimento che, in ossequio al preminente interesse morale e materiale della prole, si conforma sostanzialmente a quanto disposto dall’art. 155 quater cod. civ., introdotto dalla legge sull’affido condiviso n. 54/2006, secondo cui: ”il diritto di godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare…….”.
Decadenza che, ovviamente, non deve intendersi in senso automatico e di diritto, dovendo essere interpretata e subordinata ad un giudizio di conformità all’interesse del minore, rappresentando l’assegnazione della casa familiare un diritto personale di godimento, collocato nell’ambito dei rapporti familiari in crisi, la cui funzione è di perseguire primariamente gli interessi dei figli.
Esigenza sostanzialmente conforme alla finalità della legge di riforma sull’affido condiviso, funzionalizzata alla tutela e cura dei figli minori, evitando che l’assegnazione della casa coniugale, arredata e corredata, unitamente alle pertinenze dell’immobile che siano oggettivamente al servizio di questo, al netto dei soli beni strettamente personali dell’altro coniuge, comporti un incremento di reddito per l’assegnatario, a fronte di costi aggiuntivi che l’altro coniuge sarà costretto a sostenere per trovare nuovo alloggio.
E’, dunque, in ossequio ai predetti principi che l’art. 155 quater cod.civ. deve essere inteso, chiarendo che i casi di revoca dell’assegnazione della casa familiare sono collegati ad eventi che fanno presumere il venir meno della esigenza abitativa e che la prova di tali eventi, che onera chi agisce per la revoca, deve essere particolarmente rigorosa in presenza di prole affidata o convivente con l’assegnatario, verificando, il giudice investito della domanda di revoca, che il provvedimento richiesto non contrasti con l’esclusivo riferimento rappresentato dai preminenti interessi della prole affidata o convivente con l’assegnatario, finalizzati a permanere nell’habitat domestico.
Ed è per tale motivo che la Corte di Cassazione, in assenza di tale condizione, è intervenuta per revocare l’assegnazione della casa coniugale alla madre che viveva stabilmente con la figlia presso l’abitazione dei propri genitori divenuta, per entrambe, il domicilio principale, utilizzando la casa familiare saltuariamente, non rappresentando più, in tal modo, per la minore, il centro dei propri affetti ed interessi, ormai spostato altrove, ove la stessa risiede e frequenta la scuola.
Maria Grazia Zecca (da diritto.it del 16.5.2013)