Cass. Pen., sez. III, sent. 3.5.2013 n° 19102
Se il finto ginecologo prescrive, al telefono, atti sessuali di autoerotismo si configura violenza sessuale, ai sensi dell'art. 609-bis c.p. E' quanto emerge dalla sentenza 3 maggio 2013, n. 19102 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione.
Il caso vedeva una persona, spacciandosi per ginecologo, contattare telefonicamente alcune donne e, comunicando loro di essere a conoscenza di accertamenti medici da queste effettuati o da effettuare, nonché rappresentando situazioni di urgenza o di opportunità, le sollecitava a compiere su loro stesse atti di autoerotismo giustificati da finalità mediche, oppure a fotografare le loro zone genitali e trasmettere allo stesso gli esiti tramite e-mail.
A seguito dell'accusa per violenza sessuale, l'uomo, destinatario di un provvedimento di custodia cautelare in carcere, ricorre per Cassazione sostenendo che non sarebbe configurabile il reato di violenza per mancanza di un qualsiasi contatto fisico e che non sussisterebbero, pertanto, le esigenze cautelari.
Secondo un orientamento giurisprudenziale richiamato dalla pronuncia in esame, l'induzione della vittima a commettere atti sessuali su di sé da parte dell'agente, induzione che mira a soddisfare il desiderio sessuale dello stesso, integra gli estremi del reato previsto dall'art. 609-bis c.p. (Cass. pen., Sez. III, n. 11958/2011, rv. 249746); ciò che rileva è il principio secondo il quale, in assenza di contatti fisici fra i due protagonisti del fatto, il reato di violenza sessuale risulta integrato qualora sia compromessa la libera determinazione sessuale della persona destinataria delle condotte dell'agente e ne risulti aggredita la personalità sul piano sessuale.
Dal punto di vista dell'elemento soggettivo, il delitto in parola, caratterizzato da dolo generico, è integrato dalla semplice coscienza e volontà dell'azione tipica, "con la conseguenza che il reato sussiste anche quando la condotta tipica e l'offesa al bene protetto siano poste in essere per finalità diverse, quali la volontà di umiliare la persona o di porre in essere una vendetta, senza che venga coinvolta la sfera sessuale dell'agente" (Cass. pen., Sez. III, n. 39710 del 21/09/2011, rv. 251318).
Pertanto, secondo il giudice nomofilattico, la fattispecie di reato in esame risulta integrata dalle intenzionali aggressioni alla sfera sessuale della vittima, e in tal modo ad una dimensione intima e sensibile della sua persona e della sua personalità, commesse con modalità in qualche modo violente, subdole o artificiose che privino la vittima stessa della reale libertà di determinarsi, e ciò anche nei casi in cui l'agente agisca per finalità diverse dalla soddisfazione della propria libido.
Tornando al caso di specie, le modalità dei fatti denotano una specifica e morbosa attenzione alla sfera sessuale delle donne coinvolte, "così che non sembrano sussistere circostanze che sul piano logico e fattuale escludano la sussistenza degli elementi propri del reato ipotizzato". Ciò impone di escludere che le condotte poste in essere dal ricorrente siano riconducibili all'ipotesi di reato di molestie, ex art. 660 c.p.
(Da Altalex del 10.5.2013. Nota di Simone Marani)