L’utilizzo dello strumento processuale con modalità tali da arrecare non solo un danno al debitore senza necessità o anche solo apprezzabile vantaggio per il creditore, ma anche da interferire con il funzionamento dell’apparato giudiziario è condotta lesiva sia del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza sia contraria ai principi del giusto processo.
E’ questa la secca affermazione di principio operata dai giudici della Suprema Corte con la sentenza 12 maggio 2011, n. 10488.
In effetti, il ragionamento della Cassazione risulta ineccepibile alla luce del comportamento delle parti. Sulla base del decreto impugnato e dello stesso ricorso, i ricorrenti sono state parti di uno stesso procedimento avanti al Giudice amministrativo, avente ad oggetto il riconoscimento dell’indennità non pensionabile, ex art. 43 della l.121/1981; ciononostante, pur essendo la domanda di riconoscimento dell’equo indennizzo per l’eccessiva durata di tale procedimento basata sullo stesso presupposto giuridico di fatto, le parti hanno depositato nello stesso giorno distinti ricorsi alla Corte d’appello, con il patrocinio del medesimo difensore.
Questa condotta è tale da configurare un abuso nel processo, come già espresso in precedenza dalla stessa Corte di Cassazione. In particolare, osservano i giudici del Palazzaccio l’inutile moltiplicazione dei giudizi produce un effetto inflattivo confliggente con l’obiettivo costituzionalizzato della ragionevole durata del processo, di cui all’articolo 111 Cost. (Cass., sez. unite, n. 23726/2007).
Nel caso di specie l’evento causativo del danno, giustificativo della pretesa, è identico, come unico sia il soggetto che ne deve rispondere e plurimi siano solo i danneggiati, che, dopo aver agito unitariamente nel processo presupposto, così dimostrando una carenza di interesse alla diversificazione delle posizioni, ed avere assunto la stessa condotta in fase di richiesta dell’indennizzo, agendo con lo stesso difensore, hanno instaurato singolarmente procedimenti diversi, pur destinati inevitabilmente alla riunione.
Ne consegue, secondo la Cassazione, un contrasto della condotta con l’inderogabile dovere di solidarietà sociale, che osta all’esercizio di un diritto con modalità tali da arrecare un danno ad altri soggetti che non sia l’inevitabile conseguenza di un interesse degno di tutela dell’agente, danno che nella fattispecie graverebbe sullo Stato debitore, a causa dell’aumento degli oneri processuali, ma contrasta altresì soprattutto con il principio costituzionalizzato del giusto processo, inteso come processo di ragionevole durata, posto che la proliferazione oggettivamente non necessaria dei procedimenti incide negativamente sull’organizzazione giudiziaria a causa dell’inflazione dell’attività, con il conseguente generale allungamento dei tempi processuali.
Conclude la Cassazione specificando che pur in presenza dell’abuso dello strumento processuale non è possibile far conseguire la sanzione dell’inammissibilità dei ricorsi in quanto non è illegittimo lo strumento in sé, ma le modalità in cui è avvenuto . Ne consegue la necessità di eliminare per quanto possibile gli effetti distorsivi dell’abuso e, quindi, nella fattispecie in esame, la valutazione dell’onere delle spese come se unico fosse stato il procedimento sin dall’origine.
(Da Altalex del 4.10.2011. Nota di Alessandro Ferretti)