La Corte di Cassazione torna ad occuparsi di responsabilità per i danni cagionati da cani randagi, affermando il seguente principio di diritto: “i compiti di organizzazione, prevenzione e controllo (anche) dei cani vaganti (siano essi “tatuati, e cioè scomparsi o smarriti dai proprietari, ovvero “non tatuati”) spettano (pure) ai Comuni (…) tenuti anch’essi, in correlazione con gli altri soggetti pubblici (e non) indicati dalla legge, ad adottare concrete iniziative e assumere provvedimenti volti ad evitare che animali randagi possano arrecare danno alle persone nel territorio di competenza”.
Ancora una volta, il punto cruciale della vicenda riguarda l’individuazione dei soggetti tenuti alla prevenzione ed al controllo del fenomeno del randagismo, nei confronti dei quali la parte danneggiata può legittimamente avanzare le proprie pretese risarcitorie.
Con il principio anzidetto, la Corte riprende e sviluppa ulteriormente le conclusioni già espresse in materia con la sentenza n. 10190/10, confermando l’impostazione in base devono considerarsi responsabili in via solidale dei danni da randagismo sia la ASL territorialmente competente che il Comune.
Entrambi i soggetti, infatti, sono destinatari di obblighi specifici di prevenzione e controllo del randagismo, previsti dalla legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo n. 281/91 e dalle singole leggi regionali di attuazione (nel caso di specie, la L. Reg. Campania n. 36/93, abrogata dalla L. n. 16/01, ma nel caso ratione temporis applicabile).
Una volta individuati i soggetti legittimati passivi, la richiesta risarcitoria dev’essere ricostruita secondo i canoni della responsabilità da fatto illecito o aquiliana.
In termini generali, la P.A. è responsabile per i danni causalmente riconducibili alla violazione dei comportamenti dovuti, i quali costituiscono limiti esterni alla sua attività discrezionale e integrano la norma primaria del neminem ledere di cui all’art. 2043 c.c. Ne consegue che “in presenza di obblighi normativi la discrezionalità amministrativa si arresta, e non può essere invocata per giustificare le scelte operate nel peculiare settore in considerazione”.
La P.A. è inoltre tenuta ad un comportamento informato a diligenza particolarmente qualificata, volto, tra l’altro, ad evitare o ridurre i rischi connessi all’attività di attuazione delle funzioni ad essa attribuite.
Tale comportamento, peraltro, rientra nel più generale obbligo di buona fede o correttezza, espressione del principio di solidarietà sociale costituzionalmente garantito, in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso, nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui – nei limiti dell’apprezzabile sacrificio – dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi.
Tali principi trovano applicazione anche in tema di danni da randagismo: in caso di concretizzazione del rischio che la norma violata tende a prevenire, la considerazione del comportamento dovuto dalla P.A. e della condotta mantenuta assume decisivo rilievo, e il nesso di causalità relativamente ai danni conseguenti a quest’ultima rimane presuntivamente provato.
(Da Altalex dell’8.9.2011. Nota di Giuseppe Donato Nuzzo)