Il medico che non dispone gli opportuni approfondimenti diagnostici può rischiare la condanna per omicidio colposo.
Così si sono espressi i giudici della quarta sezione penale della Suprema Corte nella sentenza 17 agosto 2011 n. 32154 confermando la decisione della Corte d’Appello per la condanna nei confronti di un medico sportivo per il delitto di omicidio colposo in danno di un quattordicenne.
Secondo quanto precisato già dai giudici di merito, la responsabilità del medico (specialista, tra l’altro in medicina dello sport) consisteva nell’aver rilasciato il certificato di idoneità sportiva al ragazzo, nonostante lo stesso avesse, già in passato, manifestato alcune patologie di origine cardiaca.
La madre del ragazzo, infatti, aveva avvertito il medico che il figlio, già all’età di cinque anni aveva sofferto di una aritmia parossistica poi regredita.
E ancora di più: anche il cardiologo aveva segnalato il fatto che, nonostante la normalità del tracciato, dall’elettrocardiogramma risultava una “deviazione assiale a sinistra”.
Tutti questi elementi avrebbero dovuto portare il medico specialista all’effettuazione di ulteriori approfondimenti diagnostici, visto il caso di specie.
Tale decisione è stata avallata anche dai giudici di legittimità, i quali hanno, infatti, precisato che il medico sportivo, di fronte alle patologie già conosciute del paziente, non solo non avrebbe dovuto rilasciare il certificato ma, anzi, avrebbe dovuto disporre accertamenti ancora più rigorosi con l’esecuzione di un ecocardiogramma, che avrebbe potuto evidenziare l’esistenza della patologia di cui era stata ritenuta l’efficienza causale nel verificarsi del decesso.
Il medico ha, quindi, sottovalutato la patologia non tenendo in debita considerazione i riscontri del cardiologo e rilasciando lo stesso il certificato.
Tutto ciò ha portato alla morte del giovane che ha partecipato alla partita di calcio; l’evento morte è riconducibile allo sforzo compiuto nel corso della partita stessa.
I giudici di Cassazione hanno, infatti, affermato che, pur essendo vero che la patologia in oggetto aumenta il rischio di morte improvvisa del paziente affetto dalla stessa, è altrettanto vero che il rischio può salire in maniera esponenziale nel momento in cui il soggetto venga sottoposto ad uno sforzo fisico oppure ad una emozione intensa.
In pratica, se il medico avesse negato l’idoneità allo svolgimento di attività sportiva agonistica, quel giorno il giovane non sarebbe morto; senza ulteriormente contare il fatto che una giusta diagnosi avrebbe potuto permettere le cure utili al fine di contenere o, comunque, ritardare la morte improvvisa.
Omicidio colposo, pertanto, al medico sportivo che ha consentito l’agonismo al ragazzino che ha sofferto di aritmia.
Il ricorso, quindi, deve essere rigettato ed il medico condannato al pagamento delle spese di giudizio.
(Da Altalex del 20.10.2011. Nota di Manuela Rinaldi)