A fare le spese della complessa e difficile situazione politica attuale c’è, tra le altre cose, il disegno di legge sulla professione forense, in discussione in Commissione a Montecitorio: sono, infatti, molte centinaia gli emendamenti al ddl presentati lunedì scorso.
Un testo che non convince e che è da modificare radicalmente: il ddl sarebbe sì la soluzione più celere per giungere alla approvazione in tempi rapidi di una riforma dell’ordinamento professionale forense, a condizione però che l'articolato venga adeguato ai principi contenuti nell’articolo 3 della manovra finanziaria, che ha messo nero su bianco un approccio più moderno, in chiave europea, delle realtà professionali italiane.
Chi nell’avvocatura non vuole riconoscere questo dato di fatto incontrovertibile non fa il bene delle nuove generazioni di professionisti e dei soggetti più deboli, e presta il fianco a chi parla degli avvocati come di una casta monolitica.
L’Anf in merito al ddl sulla riforma forense in discussione alla Camera ha da sempre stigmatizzato il ritardo culturale delle proposte, mentre coglie positivamente alcune previsioni dell'art.3, come quella (peraltro da tempo sostenuta da ANF) di istituire, sia su base territoriale che a livello centrale, organi disciplinari diversi da quelli aventi funzioni amministrative; a livello centrale, il Consiglio Nazionale Forense potrà continuare ad essere titolare della funzione giurisdizionale “domestica”, a condizione però che rapidamente venga istituito un altro organo forense nazionale, con funzioni di autogoverno e di amministrazione dell’avvocatura.
Giudizio altrettanto positivo è quello sul rafforzamento del sistema tariffario, poiché accanto alla possibilità di pattuire il compenso per iscritto all’ atto del conferimento dell’incarico professionale prendendo come riferimento le tariffe professionali, anche derogandole, vengono introdotte fattispecie che le richiamano espressamente, con ciò legittimandole, soprattutto in caso di liquidazione giudiziale dei compensi. Con la precisazione che rimane ancora oggi opportuno, come sanno anche i magistrati, mantenere la obbligatorietà delle tariffe minime nelle materie riservate.
L'intervento, però, non è esaustivo. Occorre una maggiore attenzione nei riguardi delle fasce più deboli (donne e giovani) e dei troppi professionisti che lavorano in studi di altri avvocati senza adeguate garanzie e tutele.
Infine urge un riordino del comparto giuridico - economico, in modo che agli avvocati vengano riconosciute, anche formalmente, ulteriori ambiti di attività. Ci auguriamo che questi aspetti possano essere considerati e regolamentati dal legislatore nella fase di attuazione della riforma dell’ordinamento forense prevista appunto dall’art.3. Chi si ferma è perduto, e in questa fase, purtroppo assistiamo a un persistente e pericoloso immobilismo, diversamente dall'attivismo che pervade le altre professioni.
Gli avvocati non se lo possono permettere.
Ester Perifano – Segretario Generale ANF (da Mondoprofessionisti del 14.10.2011)