Cass. Sez. II pen. – Sent. 29.11.2013 n. 47410
Commette il reato di appropriazione indebita il
legale che all’esito della causa civile trattiene le somme che spettano al suo
cliente con la giustificazione che questo gli doveva del denaro a titolo di
compenso professionale. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 47410/2013,
respingendo il ricorso del legale.
Secondo gli ermellini, come del resto già rilevato
dalla Corte di appello di Palermo, il fatto che il legale “potesse in astratto
pretendere dai propri clienti, a titolo di compenso professionale, somme
maggiori dl quelle liquidate a carico delle parti soccombenti con la sentenza
civile, è del tutto, indifferente nelle valutazioni del caso”.
Nel momento in cui il ricorrente trattenne per sé non
solo le spese legali liquidate in sentenza, ma anche le somme destinate ai
clienti, egli non poteva infatti vantare alcuna maggiore pretesa per compensi
professionali, non avendo mai agito per ottenerne il riconoscimento. A
prescindere dal fatto che nemmeno per le spese legali liquidate dal giudice
civile egli avrebbe potuto operare alcuna ‘trattenuta’ non avendone chiesto la
distrazione ai sensi dell’articolo 93 c.p.c.
Per la
Suprema corte, dunque, “del tutto correttamente la sentenza
impugnata ha applicato al caso di specie il principio secondo cui commette il
delitto di appropriazione indebita il mandatario che, trattenga definitivamente
la somma ricavata dall’esecuzione del mandato invece di rimetterla al mandante,
e altrettanto correttamente ha escluso che l’astratta previsione normativa del
diritto di ritenzione valesse a scriminare il ricorrente, in assenza di
qualunque accertamento del diritto sostanziale presidiato dalla garanzia speciale”.
(Da ilsole24ore.com del 29.11.2013)