Nella prima udienza, «il giudice interroga
liberamente le parti presenti, tenta la conciliazione della lite e formula alle
parti una proposta transattiva», recita il comma 1 dell’art. 420 c.p.c.
L’art. 77 c. 1 lett. b) D.L. 69/2013, convertito con
modifiche nella L. 98/2013 - con l’evidente intento di allineare il rito lavoro
al nuovo art. 185-bis c.p.c., che introduce la “proposta di conciliazione del
giudice” - ha previsto che la proposta del giudice possa avere oltre che natura
“transattiva” anche finalità «conciliativa». In assenza di una disciplina
transitoria, la nuova norma processuale risulta applicabile anche ai
procedimenti pendenti al 21 agosto 2013 (data della sua entrata in vigore), in
virtù del principio tempus regit actum.
Tuttavia, a differenza dell’art. 185-bis c.p.c. - che
(nella versione modificata in sede di conversione) stabilisce che il giudice,
«avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e
all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto», formula
alle parti la proposta “ove possibile” - sembra che nel rito lavoro sia stata
inserita, non tanto l’opportunità, quanto il potere-dovere del giudice, oltre a
tentare la conciliazione, di formulare anche una proposta diretta alla
soluzione negoziale della controversia.
Il nuovo testo del comma 1 dell’art. 420 c.p.c.,
qualifica la proposta di risoluzione come «transattiva o conciliativa»; con
questa dicotomia si vuole, probabilmente, ricomprendere ogni possibile
soluzione pacificatoria. Il giudice potrà orientare, come ritiene più
opportuno, la sua idea compositiva, sia in una prospettiva più strettamente
giuridica (connessa al petitum e, comunque, fondata su “reciproche rinunce”
delle parti: proposta transattiva), sia più propriamente conciliativa e,
quindi, legata agli interessi eventualmente emersi, anche in una gradazione
diacronica e orientata a una soluzione.
Si deve, allora, verificare la compatibilità del
complesso sistema con il rito stradale.
Mentre il libero interrogatorio delle parti, seppur
di difficile verificazione, risulta ipoteticamente realizzabile, è escluso che
possa procedersi alla transigibilità delle somme derivanti da sanzioni
amministrative, in quanto integranti un credito pubblico di natura
sanzionatoria, ontologicamente sottratto alla disponibilità delle parti, giusto
il disposto dell’art. 1966 c.c.
Resta da chiedersi fino a che punto potrà spingersi
la creatività del giudice di pace nel procedere, prima, a esperire il tentativo
di conciliazione e, poi, a formulare la proposta di conciliativa.
Il nuovo potere, che potrebbe rivelarsi uno
straordinario strumento di vantaggio per entrambe le parti (oltre che di
deflazione del contenzioso), va gestito non tanto in un’ottica di preconcetto
antagonismo giudiziario, quanto di reciproca e rispettosa considerazione e
valutazione, caso per caso, delle reali posizioni di ciascuno. In merito, si
osserva che risulterà meno arduo pervenire ad un accordo conciliativo se il
quadro normativo all’interno del quale si muovono le richieste, le pretese e le
articolazioni argomentative delle parti si riveli (sufficientemente) chiaro e
stabile fin dall’inizio.
Benché la legge non preveda che la proposta debba
essere motivata - la motivazione risulta funzionale all’impugnazione del
provvedimento - nulla vieta che il Giudice possa, utilmente, indicare le
direttrici (evidenziando alle parti i punti di debolezza dei rispettivi
apparati difensivi: fatti incontestati, prove documentali, lacune probatorie, onus
probandi, ecc.) che potrebbero orientare e responsabilizzare le parti nella
riflessione sul contenuto e nella opportunità e convenienza di fare propria
(ovvero sviluppare ulteriormente) la proposta.
Si pensi alla provocazione della conciliazione giudiziale
e/o alla proposta di composizione della lite mediante:
- invito all’amministrazione - valutato l’eventuale
fumus di fondatezza dei motivi posti a sostegno del ricorso unitamente
all’orientamento giurisprudenziale dominante - di disporre l’archiviazione, la
revoca e/o l’annullamento del provvedimento impugnato, con richiesta di
estinzione del processo previa declaratoria di intervenuta cessazione della
materia del contendere e, al ricorrente - esaurito il suo interesse alla
pronuncia giudiziale e integrata la completa soddisfazione delle proprie
ragioni - di rinunciare alle spese del giudizio con richiesta di loro
compensazione; o, simmetricamente, invito all’opponente - valutato l’eventuale
fumus di infondatezza dei motivi posti a sostegno del ricorso unitamente
all’orientamento giurisprudenziale dominante - di rinunciare al processo e,
all’amministrazione - previa condanna del ricorrente al pagamento della
sanzione determinata in misura minima - di rinunciare alle spese del giudizio
con richiesta di loro compensazione.
- proposta di modifica dei termini della
contestazione mediante riqualificazione giuridica della violazione attribuita,
con altra ipotesi di illecito amministrativo senza, tuttavia, porre a
fondamento del rettificato addebito alcun fatto nuovo che, quindi, resta
immutato nella sua consistenza materiale, per evitare di violare il precetto di
corrispondenza tra contestazione e condanna (ad esempio: dall’illecito di
insozzamento della strada di cui alla lett. f-bis) dell’art. 15 c. 1, sanzionato
dal comma 3-bis con il pagamento di 105 euro, a quello di
insudiciamento/imbrattamento della strada di cui alla lett. f), sanzionato dal
comma 3 con il pagamento di 25 euro; dall’illecito di mancata riduzione della
velocità di cui al comma 3 dell’art. 141, sanzionato dal comma 8 con il
pagamento di 84 euro, a quello di mancato adeguamento/moderazione della
velocità di cui ai commi 1 e 2, sanzionati dal comma 11 con il pagamento di 41
euro);
- restituzione nel termine per fornire all’organo di
polizia procedente le generalità del conducente al momento della commessa
violazione, ai fini della decurtazione dei punti di cui al comma 2 dell’art.
126-bis, l’obbligato in solido che - indotto in errore dalla prassi (avvallata
dal Ministero dell’Interno, ma smentita dalla consolidata giurisprudenza di
legittimità) secondo la quale, avendo proposto ricorso avverso la violazione
prodromica (quella recante l’invito) riteneva di dover effettuare la
segnalazione solo all’esito del procedimento di accertamento dell’illecito
presupposto - abbia omesso di indicarli nel termine di 60 giorni dalla notifica
della contestazione;
- riduzione alla metà del minimo edittale del periodo
di sospensione della patente ordinato dalla Prefettura, quale misura cautelare
e provvisoria ai sensi dell’art. 223 c. 1, per le ipotesi di reato di cui agli
artt. 186 c. 2, lett. b) e c), e 7 e 187 c. 1 e 8, sempre che non si sia
verificato un incidente stradale, visto che in caso di successivo svolgimento
positivo della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, il giudice
penale (ai sensi dell’art. 186 c. 9-bis e 187 c. 8-bis) procede a ridurre alla
metà la sanzione amministrativa accessoria (definitiva) della sospensione della
patente;
- riconoscimento del cumulo giuridico, con
applicazione della sanzione prevista per la violazione più grave aumentata sino
al triplo, in caso di concorso omogeneo di violazioni della stessa disposizione
anche in ipotesi di molteplicità degli accertamenti intervenuti - finanche da
diversi organi di polizia (ad esempio: violazione di durata dei limiti di
velocità, di cui all’art. 142, più volte accertata - si pensi al tutor - in
contestualità cronologica e sulla medesima strada; utilizzo di durata del
cellulare, di cui all’art. 173 c. 2, durante il medesimo contesto di marcia;
plurime violazioni in materia di pubblicità sulle strade, di cui all’art. 23,
accertate in vie diverse, ma in relazione al medesimo contesto storico, locale,
fattuale e pubblicitario, nonostante l’effettuazione di un’unica campagna senza
o in difformità dell’autorizzazione) e anche commesse con più azioni od
omissioni (ad esempio: ripetersi delle violazioni di circolazione in Z.T.L.
senza autorizzazione, di cui all’art. 7 c. 9 e 14, addebitabile esclusivamente
alle modalità ed ai tempi di notifica dei verbali che non hanno consentito al
trasgressore di prendere cognizione della prima violazione - c.d. multe
seriali) - e ciò, al fine di evitare il verificarsi di un’ipotesi di bis in
idem;
- ammissione, nonostante l’intervenuta proposizione
dell’opposizione e il decorso del termine, del ricorrente a effettuare, nei
casi in cui è consentito, il nuovo pagamento in misura ridotta scontato del
30%.
Indicati i termini della proposta, il giudice
potrebbe, quindi, provvedere a fissare una nuova udienza per prendere atto
delle posizioni delle parti - invitando gli avvocati (del ricorrente) e i
delegati (dell’amministrazione) a conferire con i propri assistiti per valutare
la ragionevolezza della proposta e a munirsi dell’eventuale procura speciale
per la formale accettazione - riservandosi, all’esito, circa l’eventuale
prosieguo istruttorio.
Laddove le suddette ipotesi risultassero ammissibili,
dirompente diverrebbe - a differenza di quanto previsto dall’art. 185-bis
c.p.c., nella versione modificata in sede di conversione - la novità.
Infatti, l’ingiustificato rifiuto della proposta
giudiziale costituirebbe «comportamento valutabile dal giudice ai fini del
giudizio»; di talché le parti sono onerate - non sarebbe sufficiente la mera
dichiarazione di non aderire alla proposta (con un “no, grazie”) - della
allegazione di un “giustificato motivo” di rifiuto, che potrà essere oggetto di
sindacato (anche sanzionatorio) in sede decisoria.
E’ pur vero che la proposta formulata in sede di
prima udienza potrebbe apparire eccessivamente creativa e scoraggiarne la
(formulazione o la) adesione, ma il destino della nuova previsione resta nelle
mani del giudice e dell’uso che intenderà farne, nella consapevolezza che la
“minaccia” di una proposta conciliativa potrebbe divenire, indirettamente, un
utile strumento per sollecitare un uso più responsabile della giustizia.
Nella scelta delle parti è destinata ad assumere peso
specifico l’autorevolezza e capacità del “proponente” e il percorso che lo avrà
condotto a indicare un’ipotesi solutiva. Tutto ciò impone al giudice - che
dovrà sviluppare una particolare sensibilità tesa a orientare la possibile
soluzione negoziale, sinora obliterata dalla necessaria ricerca del dictum - da
un lato, e alle parti e ai loro rappresentanti - che dovranno rivedere
radicalmente le strategie difensive sin dall’avvio del processo - dall’altro,
una vera e propria rivoluzione culturale.
Resta, quindi, solo da verificare la giurisprudenza
che si formerà in merito alla varietà di proposte e al loro diverso
orientamento.
Fabio Piccioni (da ilsole24ore.com del 16.12.2013)