lunedì 16 dicembre 2013

Conciliazione e opposizione a sanzioni amministrative

Nella prima udienza, «il giudice interroga liberamente le parti presenti, tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva», recita il comma 1 dell’art. 420 c.p.c.
L’art. 77 c. 1 lett. b) D.L. 69/2013, convertito con modifiche nella L. 98/2013 - con l’evidente intento di allineare il rito lavoro al nuovo art. 185-bis c.p.c., che introduce la “proposta di conciliazione del giudice” - ha previsto che la proposta del giudice possa avere oltre che natura “transattiva” anche finalità «conciliativa». In assenza di una disciplina transitoria, la nuova norma processuale risulta applicabile anche ai procedimenti pendenti al 21 agosto 2013 (data della sua entrata in vigore), in virtù del principio tempus regit actum.
Tuttavia, a differenza dell’art. 185-bis c.p.c. - che (nella versione modificata in sede di conversione) stabilisce che il giudice, «avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto», formula alle parti la proposta “ove possibile” - sembra che nel rito lavoro sia stata inserita, non tanto l’opportunità, quanto il potere-dovere del giudice, oltre a tentare la conciliazione, di formulare anche una proposta diretta alla soluzione negoziale della controversia.
Il nuovo testo del comma 1 dell’art. 420 c.p.c., qualifica la proposta di risoluzione come «transattiva o conciliativa»; con questa dicotomia si vuole, probabilmente, ricomprendere ogni possibile soluzione pacificatoria. Il giudice potrà orientare, come ritiene più opportuno, la sua idea compositiva, sia in una prospettiva più strettamente giuridica (connessa al petitum e, comunque, fondata su “reciproche rinunce” delle parti: proposta transattiva), sia più propriamente conciliativa e, quindi, legata agli interessi eventualmente emersi, anche in una gradazione diacronica e orientata a una soluzione. 
Si deve, allora, verificare la compatibilità del complesso sistema con il rito stradale.
Mentre il libero interrogatorio delle parti, seppur di difficile verificazione, risulta ipoteticamente realizzabile, è escluso che possa procedersi alla transigibilità delle somme derivanti da sanzioni amministrative, in quanto integranti un credito pubblico di natura sanzionatoria, ontologicamente sottratto alla disponibilità delle parti, giusto il disposto dell’art. 1966 c.c.
Resta da chiedersi fino a che punto potrà spingersi la creatività del giudice di pace nel procedere, prima, a esperire il tentativo di conciliazione e, poi, a formulare la proposta di conciliativa.
Il nuovo potere, che potrebbe rivelarsi uno straordinario strumento di vantaggio per entrambe le parti (oltre che di deflazione del contenzioso), va gestito non tanto in un’ottica di preconcetto antagonismo giudiziario, quanto di reciproca e rispettosa considerazione e valutazione, caso per caso, delle reali posizioni di ciascuno. In merito, si osserva che risulterà meno arduo pervenire ad un accordo conciliativo se il quadro normativo all’interno del quale si muovono le richieste, le pretese e le articolazioni argomentative delle parti si riveli (sufficientemente) chiaro e stabile fin dall’inizio.
Benché la legge non preveda che la proposta debba essere motivata - la motivazione risulta funzionale all’impugnazione del provvedimento - nulla vieta che il Giudice possa, utilmente, indicare le direttrici (evidenziando alle parti i punti di debolezza dei rispettivi apparati difensivi: fatti incontestati, prove documentali, lacune probatorie, onus probandi, ecc.) che potrebbero orientare e responsabilizzare le parti nella riflessione sul contenuto e nella opportunità e convenienza di fare propria (ovvero sviluppare ulteriormente) la proposta.
Si pensi alla provocazione della conciliazione giudiziale e/o alla proposta di composizione della lite mediante:
- invito all’amministrazione - valutato l’eventuale fumus di fondatezza dei motivi posti a sostegno del ricorso unitamente all’orientamento giurisprudenziale dominante - di disporre l’archiviazione, la revoca e/o l’annullamento del provvedimento impugnato, con richiesta di estinzione del processo previa declaratoria di intervenuta cessazione della materia del contendere e, al ricorrente - esaurito il suo interesse alla pronuncia giudiziale e integrata la completa soddisfazione delle proprie ragioni - di rinunciare alle spese del giudizio con richiesta di loro compensazione; o, simmetricamente, invito all’opponente - valutato l’eventuale fumus di infondatezza dei motivi posti a sostegno del ricorso unitamente all’orientamento giurisprudenziale dominante - di rinunciare al processo e, all’amministrazione - previa condanna del ricorrente al pagamento della sanzione determinata in misura minima - di rinunciare alle spese del giudizio con richiesta di loro compensazione.
- proposta di modifica dei termini della contestazione mediante riqualificazione giuridica della violazione attribuita, con altra ipotesi di illecito amministrativo senza, tuttavia, porre a fondamento del rettificato addebito alcun fatto nuovo che, quindi, resta immutato nella sua consistenza materiale, per evitare di violare il precetto di corrispondenza tra contestazione e condanna (ad esempio: dall’illecito di insozzamento della strada di cui alla lett. f-bis) dell’art. 15 c. 1, sanzionato dal comma 3-bis con il pagamento di 105 euro, a quello di insudiciamento/imbrattamento della strada di cui alla lett. f), sanzionato dal comma 3 con il pagamento di 25 euro; dall’illecito di mancata riduzione della velocità di cui al comma 3 dell’art. 141, sanzionato dal comma 8 con il pagamento di 84 euro, a quello di mancato adeguamento/moderazione della velocità di cui ai commi 1 e 2, sanzionati dal comma 11 con il pagamento di 41 euro);
- restituzione nel termine per fornire all’organo di polizia procedente le generalità del conducente al momento della commessa violazione, ai fini della decurtazione dei punti di cui al comma 2 dell’art. 126-bis, l’obbligato in solido che - indotto in errore dalla prassi (avvallata dal Ministero dell’Interno, ma smentita dalla consolidata giurisprudenza di legittimità) secondo la quale, avendo proposto ricorso avverso la violazione prodromica (quella recante l’invito) riteneva di dover effettuare la segnalazione solo all’esito del procedimento di accertamento dell’illecito presupposto - abbia omesso di indicarli nel termine di 60 giorni dalla notifica della contestazione;
- riduzione alla metà del minimo edittale del periodo di sospensione della patente ordinato dalla Prefettura, quale misura cautelare e provvisoria ai sensi dell’art. 223 c. 1, per le ipotesi di reato di cui agli artt. 186 c. 2, lett. b) e c), e 7 e 187 c. 1 e 8, sempre che non si sia verificato un incidente stradale, visto che in caso di successivo svolgimento positivo della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, il giudice penale (ai sensi dell’art. 186 c. 9-bis e 187 c. 8-bis) procede a ridurre alla metà la sanzione amministrativa accessoria (definitiva) della sospensione della patente; 
- riconoscimento del cumulo giuridico, con applicazione della sanzione prevista per la violazione più grave aumentata sino al triplo, in caso di concorso omogeneo di violazioni della stessa disposizione anche in ipotesi di molteplicità degli accertamenti intervenuti - finanche da diversi organi di polizia (ad esempio: violazione di durata dei limiti di velocità, di cui all’art. 142, più volte accertata - si pensi al tutor - in contestualità cronologica e sulla medesima strada; utilizzo di durata del cellulare, di cui all’art. 173 c. 2, durante il medesimo contesto di marcia; plurime violazioni in materia di pubblicità sulle strade, di cui all’art. 23, accertate in vie diverse, ma in relazione al medesimo contesto storico, locale, fattuale e pubblicitario, nonostante l’effettuazione di un’unica campagna senza o in difformità dell’autorizzazione) e anche commesse con più azioni od omissioni (ad esempio: ripetersi delle violazioni di circolazione in Z.T.L. senza autorizzazione, di cui all’art. 7 c. 9 e 14, addebitabile esclusivamente alle modalità ed ai tempi di notifica dei verbali che non hanno consentito al trasgressore di prendere cognizione della prima violazione - c.d. multe seriali) - e ciò, al fine di evitare il verificarsi di un’ipotesi di bis in idem;
- ammissione, nonostante l’intervenuta proposizione dell’opposizione e il decorso del termine, del ricorrente a effettuare, nei casi in cui è consentito, il nuovo pagamento in misura ridotta scontato del 30%.
Indicati i termini della proposta, il giudice potrebbe, quindi, provvedere a fissare una nuova udienza per prendere atto delle posizioni delle parti - invitando gli avvocati (del ricorrente) e i delegati (dell’amministrazione) a conferire con i propri assistiti per valutare la ragionevolezza della proposta e a munirsi dell’eventuale procura speciale per la formale accettazione - riservandosi, all’esito, circa l’eventuale prosieguo istruttorio.
Laddove le suddette ipotesi risultassero ammissibili, dirompente diverrebbe - a differenza di quanto previsto dall’art. 185-bis c.p.c., nella versione modificata in sede di conversione - la novità.
Infatti, l’ingiustificato rifiuto della proposta giudiziale costituirebbe «comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio»; di talché le parti sono onerate - non sarebbe sufficiente la mera dichiarazione di non aderire alla proposta (con un “no, grazie”) - della allegazione di un “giustificato motivo” di rifiuto, che potrà essere oggetto di sindacato (anche sanzionatorio) in sede decisoria.
E’ pur vero che la proposta formulata in sede di prima udienza potrebbe apparire eccessivamente creativa e scoraggiarne la (formulazione o la) adesione, ma il destino della nuova previsione resta nelle mani del giudice e dell’uso che intenderà farne, nella consapevolezza che la “minaccia” di una proposta conciliativa potrebbe divenire, indirettamente, un utile strumento per sollecitare un uso più responsabile della giustizia.
Nella scelta delle parti è destinata ad assumere peso specifico l’autorevolezza e capacità del “proponente” e il percorso che lo avrà condotto a indicare un’ipotesi solutiva. Tutto ciò impone al giudice - che dovrà sviluppare una particolare sensibilità tesa a orientare la possibile soluzione negoziale, sinora obliterata dalla necessaria ricerca del dictum - da un lato, e alle parti e ai loro rappresentanti - che dovranno rivedere radicalmente le strategie difensive sin dall’avvio del processo - dall’altro, una vera e propria rivoluzione culturale.
Resta, quindi, solo da verificare la giurisprudenza che si formerà in merito alla varietà di proposte e al loro diverso orientamento.

Fabio Piccioni (da ilsole24ore.com del 16.12.2013)