Cass. SS.UU. Sent. 27493 del 10.12.2013
Va applicata la sanzione disciplinare della censura
al magistrato che come seconda attività tiene corsi di preparazione al concorso
per l’accesso in magistratura. L’attività di insegnamento risulta infatti tra
quelle incompatibili con la funzione giudiziaria per continuità e
caratteristiche. Si tratta, a tutti gli effetti, di una seconda professione,
che è vietata per i magistrati, così come ribadisce la circolare del Consiglio
Superiore della Magistratura sugli incarichi extragiudiziari (circ. n.
15207/87). E’ quanto affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione che, con la
sentenza n. 27493 del 10 dicembre 2013, ha confermato la sanzione disciplinare a
carico di un magistrato disposta con sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio
Superiore della Magistratura. Il richiamo alla normativa secondaria del CSM
sugli incarichi extragiudiziari appare meramente ricognitiva della portata di
un divieto che discende direttamente dalla legge secondo quanto dettato
dall’art. 16 del R.D. 12/1941 (Ordinamento giudiziario), che si esprime proprio
in merito all’illecito disciplinare integrato dallo svolgimento di un’attività
incompatibile con la funzione giudiziaria.
La sentenza impugnata, dopo aver richiamato il
divieto di esercitare «qualsiasi libera professione», imposto ai magistrati dal
citato art. 16 Ord. giud., ha rilevato che il magistrato censurato aveva
organizzato individualmente un’attività di gestione di corsi di preparazione al
concorso per l’accesso in magistratura, con lezioni tenute dallo stesso e per
le quali riceveva un corrispettivo a carico dei partecipanti, e che tale
attività si è protratta dal 2007 al 2011. Per le caratteristiche con cui si è
svolta e per la continuità nel tempo, detta attività, secondo l’apprezzamento
motivato della Sezione disciplinare è assurta ad una seconda professione
(libera) del magistrato, come tale ricadente sotto il divieto di cui all’art.
16 Ord. giud. Il divieto di esercitare «qualsiasi libera professione» non può,
infatti, come ribadiscono le Sezioni Unite, essere inteso come limitato alle
professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione
in appositi albi od elenchi (art. 2229 c.c.). In particolare, la nozione di
attività professionale intellettuale deve essere interpretata come una nozione
aperta, qualificata per la presenza di due requisiti (la professionalità, quale
continuità del suo esercizio, e l’intellettualità, intesa come espressione della
erogazione a favore dei terzi di prestazioni a carattere tecnico-intellettuale)
ed è identificabile anche là dove non sia imposta l’iscrizione in appositi
elenchi o albi.
Ne deriva, pertanto, secondo le Sezioni Unite, che
l’attività didattica del magistrato, con la gestione sistematica e
continuativa, da parte dello stesso, in forma di lavoro autonomo, attraverso la
tenuta di lezioni a pagamento di un servizio di formazione di più discenti
finalizzato all’accesso alle professioni del settore giuridico costituisce
esercizio di attività libero-professionale, come tale rientrante nel divieto di
cui all’art. 16 Ord. giud.
La ratio del divieto dello svolgimento da parte del
magistrato, con continuità e con un tornaconto sul piano economico e
patrimoniale, di una seconda attività professionale, anche quando non
realizzata in forme imprenditoriali, va ricercata nella compromissione del
primato della funzione di servizio del magistrato per i cittadini e per lo
Stato, finendo per incidere sull’interesse pubblico a che sia assicurato il
regolare e corretto svolgimento della funzione giudiziaria. Funzione,
quest’ultima, che gode in Costituzione di una speciale garanzia di indipendenza
e di autonomia rispetto ad ogni altra funzione.
Anna Costagliola (da diritto.it del 12.12.2013)