Costa 4mila euro al reo l’offesa
con «finalità di discriminazione»
sulle origini meridionali dei vicini
in una banale lite per motivi di parcheggio
Ben 4 mila euro costa al reo il più classico degli insulti contro gli sgraditi vicini meridionali: «Terrone di m.!». E dire che la multa di 400 euro è pena sospesa perché il responsabile delle contumelie ha comunque un casellario giudiziale immacolato. Ma c’è sempre il danno alle parti civili e, dunque, il pagamento delle spese processuali. Il punto è che il reato ex articolo 594 Cp risulta “appesantito” dall’aggravante dall’articolo 3 della legge 133/93 per avere commesso il fatto per «finalità di discriminazione o di odio etnico o razziale». È quanto emerge dalla sentenza 67/2013, pubblicata il 29 marzo dal tribunale di Varese (giudice monocratico Davide Alvigini).
Mezzogiorno di fuoco
Converrà tenere la lingua a freno, la prossima volta, per l’attempato residente di un paese non lontano dal lago Maggiore. Il conto è presto fatto: mille euro di risarcimento equitativo a testa per le due donne offese, più altri 2mila euro di spese processuali. La lite nasce da una banale questione di parcheggio che fa emergere le frizioni esistenti con la famiglia di origine meridionale che abitano al piano terra. Un giorno il signore del piano di sopra posteggia in modo da sbarrare l’uscita al veicolo dei rivali: alle rimostranze delle donne risponde con il consueto armamentario di insulti contro i meridionali («solo dei terroni possono parcheggiare in quel modo… siete una categoria di m.»); il tutto di fronte agli ospiti delle parti offese. L’aggravante a sfondo razzista scatta perché l’agente esprime «in maniera inequivocabile» un sentimento di «grave pregiudizio e un giudizio di disvalore» nei confronti della categoria dei cittadini italiani del Mezzogiorno intesa come popolazione distinta per origini e tradizioni. Esclusa l’esimente della provocazione ex articolo 599, comma secondo, Cp laddove non risulta accertata l’illegittimità del posteggio rispetto al veicolo “incriminato” né che il reo si sia rivolto alla polizia municipale per farlo rimuovere. Insomma: non resta che pagare (e contare fino a dieci prima di parlare).
Dario Ferrara (da cassazione.net)