Trib. Milano, sez. IX civ., sent. 13.2.2013
Il Tribunale di Milano, con la sentenza 13 febbraio 2013, ha annullato un matrimonio sulla base della dichiarata omosessualità del marito, celata alla moglie prima delle nozze.
Il caso. La coppia, prima del matrimonio, aveva avuto soltanto manifestazioni di affetto o altri approcci di tipo sessuale senza mai giungere a consumare un rapporto completo.
Dopo le nozze, il marito, confessa alla moglie la sua impossibilità di avere un rapporto sessuale con una donna, che aveva tentato e sperato di poterlo fare ma si era reso conto che la sua omosessualità glielo rendeva impossibile.
L’uomo aveva anche ammesso di aver avuto fino a qual momento solo rapporti con uomini e ciò era successo anche dopo il matrimonio.
La donna si rivolge allora al Tribunale di Milano per far dichiarare l’annullamento del matrimonio sulla base dell’errore in cui era stata indotta dal marito.
L’art. 122 c.c. consente di impugnare il matrimonio per errore sulle qualità personali del coniuge. L’errore deve essere essenziale nel senso che il coniuge non avrebbe prestato il suo consenso se lo avesse conosciuto.
L’errore può riguardare anche l’esistenza di una malattia fisica o psichica o un’anomalia o deviazione sessuale tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale.
La confessione dell’uomo ha reso più facile l’accertamento dei presupposti necessari per la richiesta, ma la sentenza contiene alcuni importanti principi aventi portata generale.
La legge parla di malattia fisica o psichica o deviazione sessuale. I giudici milanesi hanno fatto rilevare che l’omosessualità non può essere ricondotta in nessuna di queste categorie. In sostanza l’omosessualità non è considerata, né a livello medico, né morale né etico, una malattia o una deviazione.
Appare invece corretto parlare di “identità sessuale” di una persona, che definisce la direzione e l’orientamento del comportamento sessuale.
Tale inclinazione ha senz’altro precluso alla coppia lo svolgimento della vita matrimoniale, caratterizzata dalla totale mancanza di scambio fisico che impedisce non solo la procreazione, ma l’esprimersi dei valori connessi alla sessualità che sono strettamente legati al valore della persona in sé.
I giudici richiamano una sentenza della Cassazione (Cass. Civ. n. 13547 del 2009) che ha definito la sessualità come diritto inviolabile della persona sulla base dell’art. 2 della Costituzione e come “modus vivendi” essenziale per l’espressione e lo sviluppo della persona.
Anche la Corte Costituzionale, già nella sentenza n. 561 del 1987, aveva definito la sessualità come “uno dei modi essenziali di espressione della persona umana”.
Il matrimonio è stato pertanto dichiarato nullo sulla base del secondo comma dell’art. 122 c.c. per errore sulle qualità personali dell’altro coniuge, non per l’esistenza di una malattia o deviazione sessuale, ai sensi del terzo comma n. 1, così come prospettato dalla moglie.
(Da Altalex del 5.4.2013. Nota di Giuseppina Vassallo)