Concussione al funzionario che pretende favori sessuali dalla lavoratrice in prova prima dell'assunzione.
La minaccia, pure se larvata, è grave e condiziona in modo pesante la libera scelta della donna integrando la «costrizione» ex articolo 317 Cp. Resta concussione e non integra la mera indebita induzione, dopo la riforma anticorruzione, la condotta del funzionario pubblico che pretende favori sessuali dalla dipendente in prova, agitando lo spettro di una mancata assunzione definitiva in caso di rifiuto. E ciò anche se la minaccia è vaga, per quanto subdola: la condotta dell'agente, addetto all'ufficio di collocamento per le categorie protette di lavoratori, condiziona in modo pesante l'autodeterminazione della parte offesa e integra dunque la «costrizione» indicata dall'articolo 371 Cp. È quanto emerge dalla sentenza 18372/13, pubblicata il 22 aprile dalla sesta sezione penale della Cassazione.
Autodeterminazione e costrizione
È vero: introducendo l'illecita induzione di cui all'articolo 319 quater Cp il legislatore ha voluto responsabilizzare il «privato cooperante» per mettere un freno ai «soprusi dei rappresentanti della pubblica amministrazione». Ma non tutte le condotte che prevedono un abuso di qualità e di funzioni da parte di chi riveste la qualifica pubblica possono implicare di per sé una "complicità" del privato. Non giova all'imputato eccepire che i favori sessuali pretesi siano frutto di una libera scelta della donna. L'impiegato dell'ufficio del lavoro prima mette in dubbio l'assunzione definitiva della dipendente e, poi, dopo che la lavoratrice supera il periodo di prova, poi fa intuire alla parte offesa che potrebbe essere licenziata se si dovessero scoprire le irregolarità con le quali sarebbe stata assunta. La parte offesa si rivolge alla polizia e fa arrestare il funzionario con i soldi della tangente (il "ricattatore" alterna la natura delle richieste). Il punto è che il dipendente pubblico si mostra generico sui problemi che sarebbero potuti sorgere sul rapporto di lavoro, ma molto deciso nel pretendere le prestazioni in cambio, sessuali o in denaro: la condotta suscita alla donna il concreto e angosciante timore che le fosse disconosciuto un diritto e, dunque, rientra nella concussione di tipo costrittivo anteriore alla riforma. Pena rideterminata, ricorso rigettato nel resto.
Dario Ferrara (da cassazione.net)