Cass. Pen., sez. III, sent. 11.4.2013 n° 16459
Nella sentenza 11 aprile 2013, n. 16459 la III sezione penale della Suprema Corte ha confermato la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 674 c.p. (getto pericoloso di cose) per avere l'imputata molestato una condomina, in quanto abitante nello stesso stabile, gettando nel piano sottostante ove si trovava l'appartamento della vittima, rifiuti, quali cenere e cicche di sigarette, nonché detersivi corrosivi, quale candeggina.
I giudici di legittimità hanno ritenuto tali condotte sussumibili nella fattispecie regolata dall’art. 674 c.p. (getto pericoloso di cose) che punisce “chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone”.
La fattispecie prevista dall’art. 674 c.p. è collocata nell’ambito delle contravvenzioni di polizia ed è posta a tutela dell’incolumità pubblica; i nocumenti, più o meno gravi, che la norma intende evitare devono essere messi in relazione alla loro capacità lesiva nei confronti delle persone che dal getto pericoloso di cose vengono imbrattate, offese nella loro integrità fisica o molestate e turbate nella loro tranquillità. Tuttavia, come affermato dalla Suprema Corte nella sua precedente giurisprudenza, “l’idoneità lesiva della condotta è correlabile anche ad oggetti, ma in questo caso il fatto non ha rilevanza penale” (Cass. pen., sez. III, sentenza 13 aprile 2010 n. 22032). Di conseguenza, il reato non è stato ritenuto perfezionato quando i comportamenti enucleati nella norma sono idonei a danneggiare esclusivamente delle “res” (fattispecie relativa al getto di liquami atti ad imbrattare che causa danni solo alle colture senza riverberi negativi sulle persone). Allo stesso modo, si è statuito che lo sbattimento di qualche tappeto e lo scuotimento di qualche tovaglia non integra la condotta penalmente rilevante di cui all’art. 674 c.p. per impossibilità di causare imbrattamenti e molestie alle persone, secondo la formulazione letterale della disposizione incriminatrice (Cass. pen., sez. I, sentenza 15 maggio 2012, n. 27625).
Nella sentenza in rassegna, invece, si è data un’interpretazione estensiva della figura incriminatrice di cui all’art. 674 c.p. ritenendo che le condotte contestate sono idonee a causare molestie alla condomina abitante nel piano sottostante, nonostante sembri che tali azioni non danneggino, almeno direttamente, le persone, ma solo le cose.
Più corretta sarebbe stata la riconduzione dei fatti contestati ne reato contravvenzionale continuato di molestie continuate ex art. 81 e art. 660 c.p., per petulanza, in danno dei vicini. Per citare uno degli ultimi casi portati dinanzi ai giudici di legittimità (molto simile a quello oggetto della sentenza n. 16459 del 2013), una coppia di coniugi, a causa di precedenti dissapori con il sottostante titolare di un panificio avevano posto in essere atti di disturbo e molestia alle normali attività del negozio, versando grandi quantità di acqua dal piano soprastante proprio davanti all’entrata del panificio, spesso proprio quando giungevano clienti. Inoltre avevano costretto il negoziante a subire altre molestie, quali il getto di foglie, rami e altri materiali di scarto sempre dal piano superiore occupato dalla famiglia degli imputati, in prossimità dell’entrata del panificio, così da diminuirne l’immagine, il decoro e l’igiene. La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna per il delitto di cui all’art. 660 c.p. statuendo che la decisione impugnata “ha anche dato atto, in modo adeguato, dei tratti caratteristici della condotta petulante, evidenziandone la sussistenza nel caso in esame. Gli episodi di molestia sono stati plurimi, come riferito dalla persona offesa, sì che corretto appare il richiamo applicativo, in favore degli imputati, dell’istituto della continuazione” (Cass. pen., sez. I, 14 febbraio-14 marzo 2013, n. 11998).
Qualora, invece, le molestie condominiali, per intensità e gravità, provochino a danni dei condomini uno degli eventi previsti dall’art. 612-bis c.p. (perdurante e grave stato di ansia o di paura; ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona al medesimo legata da relazione affettiva; costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita), si potrebbero integrare gli estremi degli atti persecutori. La figura del c.d. stalking condominiale è stata espressamente prevista dalla Suprema Corte che ha ritenuto sussumibili nella figura criminosa descritta nell’art. 612-bis c.p. le condotte di minaccia e molestie ripetute indistintamente a danno tutti i soggetti facenti parte di un condominio in maniera tale da provocare agli stessi uno stato di ansia (Cass. pen., sez. V, sentenza 7 aprile-25 maggio 2011, n. 20895).
Proprio di recente si è statuito che laddove, dopo una prima serie di condotte qualificabili come mere azioni di molestia o disturbo a danno di condomini, integranti la contravvenzione di cui all’art. 660 c.p., le azioni persecutorie hanno assunto le caratteristiche di quelle astrattamente previste dall’art. 612-bis c.p., poiché l’indagato ha volontariamente proseguito nella propria sistematica azione di molestia e disturbo, nonostante le numerose lamentele dei condomini e, per chi ha tentato di opporsi, è scattata la reazione minacciosa, diretta a questo o quel condomino, a volte a tutti indistintamente, comunque sempre con urla tali da farsi ben sentire da tutti, esternando, con assoluta sfrontatezza, il proprio programma criminoso, volto a intimidire e creare un clima di ansia e di paura, all’interno dell’edificio, nelle persone che vi abitano, va applicata all’indagato la misura del divieto di avvicinamento ex art. 282-ter c.p.p. ai luoghi abitualmente frequentati da tutti i condomini per scongiurare il concreto rischio di reiterazione di reati della stessa specie o di commissione di delitti anche più gravi (G.I.P. Trib. Padova, 15 febbraio 2013, n. 1222).
(Da Altalex del 17.4.2013. Nota di Carmelo Minnella)