La speciale aggravante prevista dall’art. 4 della legge 16 marzo 2006, n. 146 è applicabile al reato associativo, sempreché il gruppo criminale organizzato transnazionale non coincida con l’associazione stessa. Così affermano le Sezioni Unite penali della Cassazione nella sentenza n. 18374 del 23 aprile scorso.
La questione di diritto su cui le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi attiene al punto se la circostanza aggravante ad effetto speciale della cd. «transnazionalità» di cui al citato art. 4 della L. 146/2006 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001) sia compatibile con il reato di associazione per delinquere ovvero sia applicabile ai soli reati fine. Trattasi di questione controversa che ha visto, nel tempo, il contrapporsi di due distinti orientamenti in giurisprudenza:
a) uno che ha sostenuto l’incompatibilità concettuale ed ontologica della speciale aggravante con l’ipotesi associativa, presupponendo detta circostanza l’esistenza del gruppo criminale organizzato, con la conseguenza che può accedere ai soli reati costituenti la diretta manifestazione di attività del gruppo (cd. reati-fine dell’associazione);
b) l’altro, sostenuto da un maggior numero di pronunce emesse da diverse sezioni della Cassazione, favorevole all’applicabilità della circostanza aggravante anche al reato associativo.
Sottolineano preliminarmente le Sezioni Unite che la «transnazionalità» non è elemento costitutivo di un’autonoma fattispecie delittuosa, ma configura, piuttosto, una peculiare modalità di espressione riferibile a qualsivoglia delitto, a condizione che lo stesso, sia per ragioni oggettive sia per la sua riferibilità alla sfera di azione di un gruppo organizzato operante in più di uno Stato, assuma una proiezione transfrontaliera. In particolare, l’art. 3 della stessa L. 146/2006 àncora la qualificazione della transnazionalità del reato al concorso di tre distinti parametri:
1) la gravità del reato, determinata in ragione della misura edittale di pena;
2) il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato;
3) in forma alternativa: la commissione del reato in più di uno Stato; la commissione in uno Stato, ma con parte sostanziale della sua pianificazione, direzione o controllo in un altro Stato; commissione in uno Stato, ma implicazione in esso di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; commissione in uno Stato, con produzione di effetti sostanziali in altro Stato.
La connotazione di transnazionalità implica che il fatto delittuoso cui inerisce debba considerarsi, per ciò stesso, più grave a causa del coefficiente di maggiore pericolosità connesso alla fenomenologia della criminalità organizzata transnazionale. Ecco perché il successivo art. 4 della legge del 2006 introduce una speciale aggravante per il reato «grave» che sia commesso con il «contributo» di un gruppo criminale organizzato, impegnato in attività criminali in più di uno Stato. Il generico riferimento a qualunque reato, purché ad esso si accompagni la previsione sanzionatoria contemplata dalla norma, porta a ritenere, per le Sezioni Unite, che l’apporto causale di un gruppo siffatto possa spiegarsi nei confronti di qualsivoglia espressione delittuosa, e dunque anche di quella associativa, e non dei soli reati-fine, di cui la prima costituisce il mezzo per la relativa consumazione.
A voler sostenere la tesi dell’incompatibilità dell’aggravante con il delitto di associazione per delinquere dovrebbe sostenersi (a conforto del primo dei due ricordati orientamenti) l’immedesimazione del gruppo criminale organizzato, il cui apporto è presupposto dell’aggravante, con la contestata associazione, giacché non sarebbe ipotizzabile l’esistenza di un gruppo criminale che contribuisca all’esistenza di sé stesso. Tuttavia, la formulazione normativa dell’aggravante, nella parte in cui evoca il contributo causale, lascia chiaramente intendere che presupposto indefettibile della sua applicazione è la mancanza di immedesimazione, richiedendo che associazione per delinquere e gruppo criminale organizzato si pongano come entità o realtà organizzative affatto diverse. Peraltro, in uno al dato ontologico della «immedesimazione», all’applicabilità dell’aggravante osterebbe, sul piano formale, il disposto normativo di cui all’art. 61 c.p., secondo il quale le circostanze, positivamente previste, aggravano il reato «quando non ne sono elementi costitutivi».
Pertanto, dal combinato disposto degli artt. 3 e 4 della L. 146/2006, le Sezioni Unite traggono la conclusione che, ai fini della configurazione della speciale aggravante in oggetto, non è affatto necessario che il reato in questione venga commesso anche all’estero, ben potendo restare circoscritto in ambito nazionale, né che l’associazione per delinquere operi anche in Paesi esteri. Non è neppure necessario che del sodalizio criminoso facciano parte soggetti operanti in Paesi diversi, posto che quel che occorre, ai fini dell’operatività dell’aggravante, è che alla commissione del reato oggetto di aggravamento abbia dato il suo contributo un gruppo dedito ad attività criminali a livello internazionale. E’ ovvio, poi, che quel contributo, ancorché realizzato in forma associativa, deve rappresentare una condotta materialmente scissa da quella che è necessaria ad integrare la fattispecie-base, atteso che è proprio quel contributo a rappresentare il quid pluris che giustifica la ratio aggravatrice. Pertanto, una volta rilevato che l’associazione criminale «basti a sé stessa», nel senso che gli associati e il programma criminoso posto a fulcro del sodalizio sono idonei a realizzare il fatto-reato a prescindere da qualsiasi tipo di contributo esterno, si può immaginare che a tale condotta se ne possa affiancare un’altra (autonoma), così da estendere le potenzialità del sodalizio in campo internazionale e giustificare l’applicazione dell’aggravante in ragione dei connotati di maggiore pericolosità che viene ad assumere il reato base.
Anna Costagliola (da diritto.it del 26.4.2013)