A deciderlo è la Cassazione con la sentenza n. 14297 del 26 marzo 2013, che ha confermato la misura a carico dell’indagato, specificando che, per la natura e l’entità delle minacce reiterate, la vittima deve necessariamente essere tutelata nel contesto familiare e lavorativo in cui si trova.
E ciò sottolineano i giudici, per evitare che il molestatore possa, contattando le persone più vicine alla persona offesa, continuare ad arrecarle, sia pure indirettamente, un pregiudizio.
Linea dura quindi della Corte di legittimità nella repressione del reato di stalking, introdotto dal pacchetto sicurezza del 2009, che nel caso di specie di era concretato in reiterate minacce di morte,
lesioni, ingiurie e danneggiamenti a carico della vittima, tanto da spingerla alla denuncia.
Poiché lo scopo della misura del divieto di avvicinamento è quello di rispondere a specifiche ragioni di cautela speciale preventiva, riferite non solo alla personalità dell’indagato e alla proclività dello stesso alla commissione di reati, ma anche al particolare rilievo che in questa prospettiva assumono la posizione della persona offesa e i rapporti fra la stessa e il soggetto agente, tale precauzione può estendersi anche ai soggetti che con la prima hanno rapporti assidui.
Ed essendo impossibile una elencazione di tali soggetti, la prescrizione deve essere necessariamente generica, investendo i parenti ed i colleghi in senso lato, restando invece esclusi dall’obbligo imposto con la misura gli eventuali, occasionali e non prevedibili incontri che non si traducano in alcun tipo di contatto molesto.
Lucia Nacciarone (da diritto.it del 28.3.2013)