mercoledì 10 aprile 2013

Più esecuzioni con un titolo solo, è abuso del processo

Il divieto di frazionamento del credito vale anche
per le procedure se moltiplica le spese a carico
del debitore e i rimborsi in favore del procedente

Il creditore vince la causa, ma paga l'avvocato da sé. Possibile? Sì, se ha inutilmente azionato ben tre differenti procedure esecutive a carico del debitore in base a un solo titolo, la sentenza di condanna che ha ottenuto nei confronti della controparte: una procedura per la sorte capitale, un'altra per le spese di lite, un'altra ancora per gli interessi legali asseritamente riconosciutigli. Si tratta, in tutta evidenza, di un abuso del processo che va sanzionato con la compensazione delle spese di giudizio. È quanto emerge dalla sentenza 8576/13, pubblicata il 9 aprile dalla terza sezione civile della Cassazione.
Moltiplicazione indebita
È inammissibile il ricorso del Comune, già condannato a risarcire il privato per il danno da accessione invertita sull'immobile. Ma attenzione: la condotta del creditore è «abusiva» perché egli tende a ottenere più di quanto gli compete, dunque la compensazione delle spese del giudizio di legittimità. E la ragione sta nel fatto che risulta ingiustificato l'azionamento frazionato del credito in origine unitario recato dal titolo esecutivo: si tratta di una scelta che costituisce un'indebita prevaricazione del debitore, laddove lo assoggetta alle spese che scaturiscono dalla "moltiplicazione" dei processi esecutivi; e che consente al creditore di ottenere eventualmente un'eventuale locupletazione non giustificata, ad esempio per maggiori rimborsi di spese o compensi. Insomma: il divieto di frazionamento in più parti dell'originario credito unitario deve essere esteso anche al processo esecuto, nell'ipotesi in cui moltiplicare le azioni comporta un aumento dell'aggravio a carico del debitore, che non risulta giustificato da esigenze di effettiva tutela del credito.
Minor sacrificio
È vero: il creditore può ben azionare più volte lo stesso titolo esecutivo fino al completo soddisfacimento. E nel farlo si incontra l'unico limite del divieto di cumulo ex articolo 483 Cpc. Ma una cosa completamente diversa - e artificiosa – è frazionare il credito portato dall'originario titolo esecutivo attivando separati processi esecutivi per singole sue voci o frammenti. E il principio della buona fede applicabile in sede negoziale deve essere estero anche in campo processuale. Se è vero che l'obbiettivo del processo esecutivo resta la soddisfazione del creditore procedente, ciò deve comunque avvenire con il minor sacrificio possibile delle ragioni del debitore. Insomma: il creditore ha diritto a ottenere né più né meno di quanto gli compete in forza del titolo, altrimenti è abuso del processo.
Da quel dì
Quanto al merito della vicenda, gli "ermellini" precisano che un titolo esecutivo che, nel dispositivo, si limita a condannare al pagamento di accessori «dal dì del dovuto», senza altra specifiCazione e senza espressa o implicita menzione di tale decorrenza nel corpo della motivazione, sarebbe tautologico e irrimediabilmente illegittimo per indeterminabilità dell'oggetto: con una formula del genere, infatti, esso alla sua funzione di identificazione compiuta e fruibile cioè specifica o determinata, ovvero almeno idoneamente determinabile del dovuto, «altro non chiedendo dalla giustizia la parte vittoriosa di un processo dell'esatta ragione del beneficiario della condanna e dell'oggetto di questa».

Dario Ferrara (da cassazione.net)