sabato 23 marzo 2013

Strategie di prevenzione per lo stalking

Lo stalking è un fenomeno criminale che ad oggi miete le sue vittime sia in senso psicologico che, purtroppo, anche fisico.
Un fenomeno contro il quale, da anni, psichiatri, criminologi, giuristi, psicologi ed educatori combattono nella speranza e nella fiducia di riuscire ad eliminarlo definitivamente.
La collaborazione e la sinergia di queste forze sta, man mano,trovando sempre nuove strategie per eliminare o ridurre il problema.
Non si tratta solo del reato in sé, crimine che senza dubbio deve essere punito duramente, ma si tratta di compiere una disamina attenta e ponderata del problema che deve essere considerato a monte e che va studiato all’interno delle complicate e delicate dinamiche dalle quali è innescato e che, a sua volta, inevitabilmente innesca.
Lo stalking è soprattutto aberrazione e annientamento, un male che porta alla distruzione sia chi lo agisce, (in quanto lo stalker vive nella vendetta e nella violenza non avendo più altro scopo nella vita se non quello di distruggere la sua preda), sia chi lo subisce, perché la vittima è colei che vive nella costante paura che la sua vita sia rovinata per sempre o addirittura distrutta fino a portarla alla morte, a volte vista come unica soluzione per uscire dall’incubo in cui, senza capire le ragioni, si trova invischiata.
Questo crimine non costituisce solo una violazione della libertà individuale, ma anche una situazione psicopatologica che deve essere curata, laddove emergono quadri di evidenti disturbi di personalità, ma soprattutto deve essere applicata una politica di prevenzione, tramite interventi educativi mirati, che siano rivolti ai ragazzi a partire dall’ambito scolastico e familiare.
Risulta quanto mai importante parlare di prevenzione educativa dello stalking, ed è altrettanto importante capire la radice di tale problema e le sue origini.
La conseguenza di una vita deprivata, di emarginazione, di disagio sociale o di maltrattamenti, si può tradurre in questa conseguenza visibile a tutti: lo stalking; il tratto più evidente di un disegno di sofferenza e abbandono quasi invisibile negli anni.
Lo stalker generalmente narra una storia di dolore spesso radicato in un’infanzia in cui l’unica arma di difesa dalle percezioni d’indifferenza è stata la feroce negazione dell’amore, cresciuta silenziosamente nel paradosso di un bisogno disperato di affetto.
La fragile personalità dello stalker si struttura, spesso(con difficoltà) sul sentore di essere vittima di un «rifiuto originale», il rifiuto supremo, quello delle figure di riferimento, in particolare, il rifiuto materno.
La ferita inferta nella tenera gioventù muta in una forma d’insicurezza cronica, che prelude ad un terrore dell’abbandono ossessivo e costante che troppo spesso finisce per evocare l’allontanamento delle persone amate, in quanto l’attaccamento dell’individuo che non ha esperito una forma sana di amore, è l’attaccamento di un “analfabeta delle emozioni”, che per tutta la vita tenterà di instaurare rapporti duraturi senza esserne realmente capace.
Il comportamento ansioso e incapace di elaborare l’abbandono del bambino “rifiutato” tornerà prepotentemente ad insediarsi nella vita dell’individuo adulto nel momento in cui quest’ultimo sentirà di essere allontanato dalla persona oggetto del desiderio, portandolo a una regressione che lo costringerà a rimanere legato a doppio nodo all’ossessione della figura che gli negherà l’accudimento di cui sente di avere, da sempre, un disperato bisogno.
Qualsiasi abbandono in età adulta evocherà l’abbandono “sommo” percepito nelle fasi più delicate della crescita, annebbiando la capacità cognitiva del futuro stalker di rendersi autonomamente consapevole dell’insensatezza del suo comportamento nei confronti della figura idealizzata come quella del “salvatore”, una figura verso la quale proverà sentimenti contradditori ed ossessivi, volti al recupero del suo amore totalizzante o alla sua definitiva distruzione, sia psichica che sovente, anche fisica.
Diviene più che mai urgente e necessaria la realizzazione di specifiche attività di carattere informativo, educativo e formativo per sostenere iniziative di prevenzione dello stalking, nelle istituzioni scolastiche, perché senza una reale sinergia che vada a toccare l’aspetto culturale della questione, si rischia di continuare a remare controcorrente.
La violenza è anche una questione culturale ed è tempo che questo assunto diventi un dato riconosciuto: per contrastare il fenomeno dello stalking bisogna prima conoscerlo. L’intervento non può essere settoriale ma sinergico, non un intervento standard, ma creato appositamente per ogni situazione, perché ogni persecuzione, ogni stalker e ogni vittima, hanno una propria storia e soprattutto una propria evoluzione.
Servono misure preventive, di sostegno alle vittime e competenza da parte degli operatori che svolgono azione educativa per prevenire l’insorgenza dello stalking.
Nell’analisi fin qui condotta si deve porre l’accento sulla prima forma di società entro la quale l’individuo è collocato fin dalla nascita: la famiglia; nel cui ambito il bambino, forma la sua personalità e soprattutto, getta le basi per il divenire.
Essa è il luogo dentro il quale egli compie le prime esperienze fondamentali e si prepara all’ingresso nella società vera e propria.
Ecco perché risulta fondamentale innanzitutto dal punto di vista della prevenzione educativa, monitorare le famiglie che presentano dei disagi, dove le figure genitoriali non rispecchiano i canoni educativi adatti ad una formazione corretta della personalità del bambino.
Gli assistenti sociali e gli organi competenti devono intervenire in quelle situazioni nelle quali, violenza, deprivazione affettiva e culturale, povertà e abusi, mettono a rischio l’equilibrio del bambino, impedendo il trascorrere di un’infanzia serena e ledendo la sua psiche al punto da sviluppare nel tempo disordini di personalità e atteggiamenti non idonei per un corretto inserimento sociale.
Nel suo ingresso a scuola, il bambino si relaziona con una realtà variegata e sfaccettata, nella quale, per riuscire a inserirsi correttamente, necessita di un'educazione appropriata e un’affettività idonea per instaurare rapporti interpersonali significativi e per essere accettato dai suoi coetanei.
Gli insegnanti, nello svolgimento del proprio lavoro, non devono curare solo lo sviluppo delle potenzialità cognitive del discente, ma hanno anche il compito di focalizzare l’attenzione sullo sviluppo della sua personalità, cercando di individuare i comportamenti disfunzionali che non permettono al bambino di crescere anche emotivamente.
Con la guida degli educatori, egli deve imparare a gestire i dinieghi, i rifiuti, e soprattutto accettare l’idea che vi sia la possibilità che un altro coetaneo non voglia instaurare un rapporto con lui o che non nutra nei suoi confronti un sentimento di amicizia; anche questo serve a prevenire eventuali comportamenti disfunzionali nell’età adulta legati all’incapacità di gestire le frustrazioni derivanti da probabili rifiuti.
Lo stalker, “rifiuta di accettare il rifiuto”, non riesce neanche a considerare possibile che la persona oggetto del suo insano desiderio, non voglia avere alcun contatto con lui o non voglia riprendere un rapporto interrotto.
Nell’ambito del contesto educativo, si dovrà focalizzare l’attenzione sul “bambino problematico” e pertanto, l’insegnante dovrà correggerne la visione del mondo servendosi dell’ausilio di specialisti qualificati, come ad esempio neuropsichiatri infantili e psicologi, i quali, con strumenti idonei, riusciranno a capire quale realmente sia il disagio del bambino e tramite attenta analisi, usare gli strumenti più adatti per farlo uscire dal disagio nel quale si trova.
Ecco perché la prevenzione educativa è essenziale.
Diviene in tal senso importante effettuare una riflessione: lo stalker, nella maggior parte dei casi, è un soggetto con una devianza, con una personalità disfunzionale e con una profonda incapacità di accettare il rifiuto e l’abbandono.
Pertanto, si può affermare che- in molti casi - lo stalker non è altro che il bambino di ieri che a causa di violenze, deprivazioni, anaffettività, abbandono, incapacità di gestire problematiche per lui eccessive, è diventato il criminale di oggi, poichè non è riuscito ad elaborare i contenuti della sua infanzia disagiata.
La prevenzione educativa è il mezzo fondamentale per riuscire ad evitare che il bambino, trasformi disagi e sofferenze in vere e proprie devianze; in comportamenti disfunzionali che nel tempo gli precludono la possibilità di creare rapporti interpersonali, che siano essi di amicizia o d’amore.
Solo così, arrivando all’età adulta, sarà capace di gestire il rifiuto, accettare l’abbandono e non creare quel circolo vizioso di molestie e persecuzioni che caratterizzano lo stalking.
Stalking: un crimine, un fenomeno sociale, un disagio interiore, un abuso del più forte su chi è indifeso; una realtà che però può e deve essere cambiata anche grazie alla consapevolezza che chi lo subisce deve denunciare e soprattutto alla capacità delle forze preposte di intervenire in tempo.
Ma, “in tempo”, non vuol dire fermare la violenza, vuol dire evitare che essa nasca, vuol dire… prevenzione.
Proprio grazie ad essa, si salvano due vite, quella di chi sarà vittima e quella di chi, a causa dei propri disagi, distruggerà se stesso e gli altri.

Maria Pia Cocivera (da filodiritto.com del 19.3.2013)