La domanda di rendita previdenziale ai superstiti
presentata dalla madre non interrompe
la prescrizione del diritto dei figli
Discrezionale sì, arbitrario no. L'esercizio dei poteri istruttori ufficiosi dal parte del giudice, anche nel rito del lavoro, deve comunque essere motivato rispetto, ad esempio, all'acquisizione di un documento ritenuto indispensabile per decidere la causa. E se non provvede il giudice di prime cure può ben farlo quello di secondo grado grazie all'effetto devolutivo del gravame. Ancora. In materia previdenziale la domanda amministrativa volta all'ottenimento della rendita ai superstiti presentata dalla moglie del defunto non dispiega un effetto interruttivo anche nei confronti dei figli: non è prevista alcuna ipotesi di solidarietà cumulativa attiva, dal momento che ogni superstite è titolare di un diritto autonomo. È quanto emerge dalla sentenza 5676/13 pubblicata dalla sezione lavoro della Cassazione.
Il fatto
Risulta prescritto il diritto dei figli a richiedere all'istituto di previdenza, il diritto a ricevere la rendita ai superstiti, conseguente alla morte del padre: la presentazione della domanda amministrativa della moglie, nonché madre dei due eredi, ha spiegato effetto interruttivo solo nei suoi confronti e non anche dei figli. Piazza Cavour, infatti, chiarisce che ogni superstite è titolare di un diritto autonomo, senza che ricorra un'ipotesi di solidarietà attiva. In definitiva si deve escludere che l'atto con il quale uno dei superstiti interrompe la prescrizione nei confronti dell'ente previdenziale possa estendere i suoi effetti con riguardo agli altri aventi titolo alla prescrizione, in forza di una disposizione, ossia l'articolo 1310 Cc, che risulta solo applicabile in materia di obbligazioni in solido. Infatti, in forza di tale norma, gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido, oppure uno dei creditori in solido interrompe la prescrizione contro il comune debitore, hanno effetti anche riguardo gli altri debitori o creditori. Non bisogna dimenticare, infatti, ci troviamo di fronte a un'obbligazione. Il Palazzaccio accoglie il motivo de quo, cassa la sentenza e rinvia la causa alla stessa Corte d'appello in diversa composizione.
Nuova verifica
Quanto alla questione processuale, il documento "incriminato" è costituito dalla copia di una lettera che contiene la richiesta di corresponsione della rendita controversa. E il giudice di prime cure effettivamente non motiva ad hoc rispetto all'esercizio dei suoi poteri istruttori ufficiosi. Ma alla carenza sopperisce la Corte d'appello, che ha il potere di (ri)decidere con gli stessi poteri dell'organo che ha emesso l'atto impugnato e attraverso una nuova verifica di tutte le questioni che il predecessore aveva già esaminato: il giudice del gravame osserva che l'acquisizione della lettera deve ritenersi legittimamente disposta dal giudice di primo grado ai sensi dell'articolo 421 Cpc, in quanto trattasi di documento senz'altro indispensabile ai fini della decisione e che di fatto era ben conosciuto dalla parte contro cui veniva esibito. La parola passa al giudice del rinvio.
Romina Tibaldi (da cassazione.net)