giovedì 11 luglio 2013

Riduzione della capacità lavorativa e danno

Cassazione, sent. n. 16213/2013



1. Questione

E’ stato rigettato l’appello promosso dal lavoratore, volto ad ottenere la liquidazione del danno patrimoniale, contro la sentenza emessa dal Tribunale di Catanzaro, che aveva condannato, in solido, l’assicurazione ed il proprietario e conducente del veicolo.

La Corte d'Appello, dopo aver ritenuto inammissibile nel merito la prova per testi capitolata dall'appellante, dichiarava, alla luce delle risultanze probatorie, l'infondatezza della domanda di risarcimento del danno patrimoniale quale pregiudizio all'attitudine al lavoro idonea a comportare una riduzione della capacità di guadagno, ritenendo non sussistente la prova del nesso di causalità tra la riduzione della capacità lavorativa specifica e la diminuita produzione del reddito, conseguentemente non riconoscendo alcun danno da lucro cessante.

Ricorre per Cassazione il lavoratore, con due motivi:

a) omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c), sulla omessa liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, ritenendo che la Corte Territoriale avrebbe dovuto esporre le ragioni per le quali ha ritenuto non provato il nesso causale tra riduzione della capacità lavorativa specifica del lavoratore, la messa in mobilità dello stesso e il successivo espletamento di diversa attività lavorativa e non limitarsi ad affermare che tale prova non è stata data;

b) omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c), sulla declaratoria d'inammissibilità della prova testimoniale articolata dal B. nell'atto d'appello, in quanto i giudici avrebbero dovuto motivare le ragioni per le quali hanno ritenuto che le suddette circostanze fossero da provare documentalmente e non con prova testimoniale.

La Cassazione ha rigettato il ricorso, in quanto la decisione si rivela improntata a corretti canoni logici e giuridici ed è in armonia con la giurisprudenza che espressamente afferma che il lucro cessante conseguente alla riduzione della capacità lavorativa in tanto è risarcibile quale danno patrimoniale in quanto il danneggiato provi la sussistenza di elementi idonei per ritenere che a causa dei postumi egli effettivamente riceverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno biologico. Si deve ribadire, che tra lesione della salute e diminuzione della capacità di guadagno non sussiste alcun rigido automatismo, per cui in presenza di una lesione della salute, anche di non modesta entità, non può ritenersi ridotta in egual misurala capacità di produrre reddito, ma il soggetto leso ha sempre l'onere di allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l'invalidità permanente abbia inciso sulla capacità di guadagno (Cass. n. 10031/2006).



2. Orientamenti giurisprudenziali

La presente pronuncia risponde a consolidato principio in giurisprudenza di legittimità che il grado di invalidità di una persona, determinato dai postumi permanenti di una lesione all'integrità psico-fisica dalla medesima subita, non si riflette automaticamente nella stessa misura sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e quindi di guadagno della stessa, spettando al Giudice del merito valutarne in concreto l'incidenza (v. in particolare Cass., 14/10/2005, n. 19981).

Detto danno patrimoniale da invalidità deve essere pertanto accertato in concreto, attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgeva (o, trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa, presumibilmente avrebbe svolto) un'attività produttiva di reddito (v. Cass., 20/1/2006, n. 1120; Cass., 14/10/2005, n. 19981; Cass., 5/7/2004, n. 12293).

Allorchè la persona che ha subito una lesione dell'integrità fisica come nella specie già eserciti un'attività lavorativa, in presenza di postumi permanenti di modesta entità (c.d. micropermanente) un danno da lucro cessante conseguente alla riduzione della capacità lavorativa è configurabile solamente in quanto sussistano elementi per ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno non patrimoniale (cfr. Cass., 9/1/2001, n. 239), e cioè biologico, morale ed esistenziale (cfr. Cass., 6/2/2007, n. 2546; Cass., 2/2/2007, n. 2311; Cass., 12/6/2006, n. 13546; Cass., Sez. Un., 24/3/2006, n. 6572. V. anche Cass., 19/2/2007, n. 3758. Diversamente v., da ultimo, Cass., 20/4/2007, n. 9510; Cass., 9/11/2006, n. 23918).

A tal fine occorre che il Giudice, oltre ad accertare in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla capacità di svolgimento dell'attività lavorativa specifica - e questa a sua volta sulla capacità di guadagno -, accerti se e in quale misura in tale soggetto persista o residui, dopo e nonostante l'infortunio subito, una capacità ad attendere al proprio o ad altri lavori confacenti alle sue attitudini e condizioni personali e ambientali idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte. E solo se dall'esame di detti elementi risulta una riduzione della capacità di guadagno e del reddito effettivamente percepito, questo è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante.

Detto danno patrimoniale da invalidità deve perciò essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse o, trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa, presumibilmente avrebbe svolto, un'attività produttiva di reddito (v. Cass., 20/172006, n. 1120; Cass., 20/10/2003, n. 15652; Cass., 25/5/2004, n. 10026).

Incombe quindi al danneggiato anzitutto dimostrare che il danno, sia pur lieve, ha avuto concreta incidenza sulle sue possibilità di guadagno futuro (v. Cass., 26/9/2000, n. 12757; Cass., 28/4/1999, n. 4235), nonchè l'entità del pregiudizio economico conseguentemente sofferto. E laddove risulti certa la riduzione della capacità lavorativa specifica di lavoro, quest'ultimo può essere in effetti provato anche a mezzo di presunzioni (v. Cass., 14/10/2005, n. 19981; Cass., 3/5/1999, n. 4385).

La liquidazione del danno non può essere pertanto fatta in modo automatico in base ai criteri dettati dall’art. 4 della L. 39/1977, che non comporta alcun automatismo di calcolo, ma si limita ad indicare alcuni criteri di quantificazione del danno sul presupposto della prova relativa che incombe al danneggiato e può essere anche data in via presuntiva, purchè sia certa la riduzione di capacità lavorativa specifica (v. Cass., 6/4/2005, n. 7097; Cass., 29/10/2001, n. 13409).

Nè tale prova può essere sostituita da altri elementi o dal richiamo a norme che si ritengono attinenti alla quantificazione del pregiudizio (v. Cass., 6/4/2005, n. 7097; Cass., 29/10/2001, n. 13409; Cass., 28/4/1999, n. 4235. V. anche, per l'affermazione dell'impossibilità di fare riferimento alla legislazione previdenziale, stante i ben diversi presupposti e finalità di essa propri, Cass., 14/10/2005, n. 19981).


Rocchina Staiano (da diritto.it del 10.7.2013)