Nella predisposizione di un atto di appello il professionista, nel redigere i motivi, deve stare molto attento nel considerare se sussistono o meno le tassative ipotesi di rimessione alla Commissione Tributaria Provinciale.
Infatti, se sussistono le suddette condizioni, allora i motivi di appello possono limitarsi a denunciare il mancato rispetto delle norme processuali; invece, se le suddette condizioni non sussistono, allora il professionista nell’atto di appello deve affrontare sia le questioni di diritto sia le questioni di merito.
L’importante principio di cui sopra, ultimamente, è stato ribadito dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 166 del 19/06/2013, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 59 del D.Lgs. n. 546 del 31/12/1992, promossa in riferimento all’art. 24 della Costituzione dalla Commissione Tributaria Regionale delle Marche.
Infatti, la suddetta Commissione Tributaria Regionale aveva sollevato, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 59 citato nella parte in cui non contempla, tra i casi di rimessione alla Commissione Tributaria Provinciale, quello dell’erronea dichiarazione di inammissibilità da parte del giudice di primo grado senza trattazione nel merito della prima causa.
Secondo il giudice rimettente, al giudice di appello nel giudizio tributario sarebbero preclusi l’esame del merito, in assenza di censure sollevate al riguardo dall’appellante, e, al contempo, la possibilità di rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi del succitato art. 59.
Invece, secondo la Corte Costituzionale i dubbi prospettati dalla CTR delle Marche in punto di legittimità costituzionale della norma censurata sono manifestamente infondati, in quanto espressi sulla base di un erroneo presupposto interpretativo, in quanto la norma censurata non limita in alcun modo la trattazione del processo né pone il giudice dell’appello nella situazione di stallo prospettata dal rimettente.
Infatti, sempre secondo la Corte Costituzionale , qualora non ricorra una delle ipotesi di rimessione alla Commissione Tributaria di primo grado elencate al comma 1, l’art. 59 citato non preclude in appello la possibilità di esame nel processo del merito a condizione che l’appellante abbia correttamente riproposto, insieme alla censura di erroneità della dichiarazione di inammissibilità, le relative censure di merito.
Dunque, la preclusione lamentata dal giudice a quo è dovuta, nel caso di specie, non all’applicazione della norma impugnata, ma alla mera circostanza di fatto della mancata deduzione delle questioni di merito da parte dell’appellante, il quale ha male esercitato il suo diritto di appellare.
Oltretutto, i suesposti principi erano stati già precisati dalla Corte di Cassazione, Sez. Unite, con la sentenza n. 12541 del 14/12/1998, secondo la quale “costituisce principio giurisprudenziale univoco e consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello di recente ribadito secondo il quale è ammissibile l’impugnazione con la quale l’appellante si limiti a dedurre unicamente i vizi di rito avverso una pronuncia a lui sfavorevole, solo se i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice, ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c. e, nel caso specifico, nel processo tributario, ai sensi dell’art. 59, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992; nelle ipotesi in cui, invece, il vizio non rientra in uno dei casi tassativamente previsi dalle citate norme è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tale ipotesi, l’appello fondato esclusivamente su vizi di rito, senza contestuale gravame contro l’ingiustizia della sentenza di primo grado, dovrà ritenersi inammissibile, oltre che per difetto di interesse, per non rispondenza al modello legale dell’impugnazione”.
Il più volte citato art. 59 prevede che la Commissione Tributaria Regionale rimetta la causa alla Commissione Tributaria Provinciale, che ha emesso la sentenza impugnata, nei seguenti casi tassativamente considerati:
1) quando dichiara la competenza declinata o la giurisdizione negata dal primo giudice;
2) quando riconosce che nel giudizio di primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato;
3) quando riconosce che la sentenza impugnata, erroneamente giudicando, ha dichiarato estinto il processo in sede di reclamo contro il provvedimento presidenziale;
4) quando riconosce che il collegio della Commissione Tributaria Provinciale non era legittimamente composto;
5) infine, quando manca la sottoscrizione della sentenza da parte del giudice di primo grado.
Al di fuori dei suddetti casi, tassativamente previsti, la Commissione Tributaria Regionale deve decidere nel merito previamente ordinando, ove occorra, la rinnovazione di atti nulli compiuti in primo grado.
Alla luce dei principi esposti sia dalla Corte Costituzionale che dalla Corte di Cassazione, il professionista nel redigere i motivi dell’atto di appello deve stare attento ad impostare la linea difensiva a secondo che si verifichino o meno le tassative condizioni di rimessione di cui sopra.
Infatti, se si verificano i casi di cui al succitato art. 59, il professionista può limitarsi a chiedere al giudice di appello la rimessione degli atti al giudice di primo grado, e ciò non compromette assolutamente la sua strategia processuale.
Invece, se non si verificano le tassative ipotesi di cui sopra, il professionista deve eccepire nell’atto di appello tutte le questioni di diritto e di merito che gli sono state rigettate in primo grado, altrimenti rischia di perdere la causa, come si è verificato nell’ipotesi considerata dalla Corte Costituzionale, in quanto il difensore ha male esercitato il suo diritto di appellare.
Maurizio Villani (da filodiritto.com del 5.7.2013)