Cass. Civ., sez. lavoro, sent. 4.6.2013 n° 14017
Con la sentenza n. 14017/2013 la Corte di Cassazione nel confermare la sentenza della Corte di Appello di Catania fornisce un altro importante contributo in tema di quantificazione e risarcimento del danno esistenziale.
Il caso è quello di un dipendente di una società soggetto a diverse sanzioni disciplinari e per ultimo a licenziamento per giusta causa per motivazioni che la Corte territoriale ritiene infondate per mancanza di idonei elementi probatori, di conseguenza l’organo giudiziario dichiara illegittimi tutti i provvedimenti della società.
Dal punto di vista risarcitorio la Corte d’Appello conferma la misura del risarcimento per l'illegittimo licenziamento determinata dal Tribunale in sei mensilità di retribuzione, tenuto conto della durata del rapporto di lavoro di oltre sei anni e delle dimensioni dell'impresa, di una certa consistenza, pur avendo meno di 16 dipendenti. Mentre avuto riferimento al mobbing ed ai relativi infondati provvedimenti disciplinari, la Corte territoriale esclude la possibilità di liquidare alcuna somma, in via autonoma, a titolo di danno esistenziale dovendo ritenersi tale danno già inserito nelle somme liquidate per danno non patrimoniale e, quindi, considerato che il dipendente aveva comunque sempre continuato a lavorare, determina il risarcimento in favore del lavoratore in una somma complessiva di Euro 21.255,00.
In particolare, proprio in merito alla liquidazione del danno esistenziale, la Corte di Cassazione chiarisce che, nel caso di specie la Corte territoriale non ha inteso negare l'esistenza del danno esistenziale, sempre risarcibile alla stregua del disposto dell'art. 2043 c.c. violandosi un diritto della persona anche se la condotta offensiva non costituisce reato, ma lo ha inteso includere nel danno biologico applicando un criterio liquidativo complessivo ed equitativamente determinato (pari ad Euro 16,25 al giorno) che risulta aver tenuto conto anche dei criteri soggettivi, avendo fatto riferimento alla specifica posizione lavorativa del dipendente che non aveva cessato di lavorare dando così prova di aver conservato integra la maggior parte del proprio stato di salute.
La stessa Corte di Cassazione ritiene corretta anche la liquidazione degli accessori al danno liquidato globalmente fino alla sentenza, in quanto il giudice d'appello ha con una formula generale (rivalutazione monetaria ed interessi legali decorrenti dalla data della sentenza) indicato un criterio di quantificazione che lungi da intendersi come disapplicativo dei principi più volte, sul punto, ribaditi dalla giurisprudenza circa la decorrenza della rivalutazione monetaria dal verificarsi del fatto in caso di debito di valore quale quello in esame, deve, invece, leggersi come rispettoso di tali principi avendo la Corte manifestato di aver valutato il danno complessivamente determinato all'epoca della sentenza (i fatti si riferiscono invece agli anni 1997/1998) già comprensivo di detti accessori.
(Da Altalex del 25.6.2013. Nota di Michele Iaselli)