La custodia cautelare in carcere costituisce la forma
più intensa di privazione della libertà personale in tema di misure cautelari.
L'art. 275 del codice di procedura penale, prevede
che si possa applicare in carcere quando ogni altra misura risulti inadeguata,
secondo il principio di extrema ratio della custodia cautelare.
In Italia è consentita la carcerazione preventiva in
tre casi:
- pericolo di fuga e conseguente sottrazione al
processo ed alla eventuale pena
- pericolo di reiterazione del reato
- pericolo di turbamento delle indagini.
Con il provvedimento che dispone la custodia
cautelare, il giudice ordina agli ufficiali e agli agenti di polizia
giudiziaria che l'imputato sia catturato e
immediatamente condotto in un istituto di custodia
per rimanere a disposizione dell'autorità giudiziaria.
Prima del trasferimento nell'istituto, la persona
sottoposta a custodia cautelare non può subire limitazioni della libertà, se
non per il tempo e con le modalità strettamente necessarie alla sua traduzione
in questo luogo (ex art. 285 c.p.p.).
Per determinare la pena da eseguire, la custodia
cautelare subita si computa come pena scontata, anche quando si tratti di
custodia cautelare subita all'estero in conseguenza di una domanda di
estradizione oppure nel caso di rinnovamento del giudizio a norma dell'art. 11
del codice penale.
Gli istituti adibiti alla custodia prendono il nome
di case circondariali e la loro esistenza è sancita dall'ordinamento
penitenziario.
Vi sono di solito ristrette persone in attesa di
giudizio o con una detenzione nel massimo, o un residuo pena, di anni tre,
salvo eccezioni.
Gli ospiti delle case circondariali negli ultimi
anni, a seconda delle carceri, sono cittadini stranieri.
In Italia la maggioranza dei detenuti è in attesa di
giudizio, anche se spesso, dopo un primo periodo di detenzione, se il detenuto
collabora e da segni di ravvedimento, è frequente il caso che gli siano
concessi gli arresti domiciliari in attesa del processo, sempre che abbia a sua
disposizione un domicilio idoneo.
Per le donne in gravidanza o con figli al di sotto
dei sei anni è vietata la custodia in carcere.
Eventuali misure restrittive devono avvenire
all'interno del domicilio o, in assenza di questo, in case-famiglia.
Bisogna però osservare che è tradizione applicare
alle donne misure cautelari molto meno stringenti rispetto alle controparti
maschili, è molto difficile che una donna venga messa in carcere, anche per i
reati più gravi e in presenza di inconfutabili indizi di colpevolezza, per i
quali al massimo vengono dati gli arresti domiciliari.
Nella maggior parte dei casi, a parità di reato e di
quadro probatorio, quando gli uomini vengono posti in carcere le donne
rimangono in libertà.
Se la persona da sottoporre a custodia cautelare si
trova in stato di infermità di mente che ne esclude o ne diminuisce grandemente
la capacità di intendere o di volere, il giudice, in luogo della custodia in
carcere, può disporre che sia mandato in idonea struttura del servizio
psichiatrico, adottando i provvedimenti necessari per prevenire il pericolo di
fuga.
L’imputato no può essere lasciato lì se non è più
infermo di mente.
Sono previsti termini di durata intermedi, massimi e
complessivi.
I termini intermedi sono quattro. Il termine massimo
comprende i termini intermedi.
I termini complessivi comprendono anche le
sospensioni della misura cautelare.
Le misure obbligatorie hanno durata doppia rispetto a
quelle custodiali.
Il conteggio inizia a decorrere in presenza di atti
giudiziari relativi allo stesso reato che lo consentano, o di altri capi di
imputazione anche relativi a fatti materialmente commessi prima dell'inizio
della carcerazione preventiva.
Le Sezioni Unite Penali della Cassazione, con la
sentenza n. 4614 del 5 febbraio 2007, hanno stabilito che il limite massimo
della carcerazione preventiva non è un limite perentorio, ed è derogabile da un
provvedimento del giudice consentito dalla legge.
Non è invece accettabile un meccanismo processuale
dal quale derivi che, alle scadenze temporali considerate dalla legge, anche in
mancanza di un provvedimento del giudice, la custodia cautelare non debba
inderogabilmente cessare.
Molti costituzionalisti ritengono palesemente
illegittimo questo orientamento giurisprudenziale che consente una limitazione
della libertà personale senza confini temporali, in casi limite di fare
scontare un ergastolo a persone in attesa di giudizio, con una semplice
sequenza di provvedimenti giudiziali che prorogano la custodia cautelare.
Il magistrato potrebbe esercitare l'azione penale in
modo da non incriminare subito l'imputato con i capi di accusa noti, e
introdurli "gradualmente" allo scadere dei termini di custodia
cautelare, rinnovati ogni volta con altre accuse.
Alessandra Concas (da
diritto.it del 22.7.2013)