Cass. Pen., sez. III, sent. 1.2.2012 n° 4377
Nei procedimenti per violenza sessuale di gruppo, il giudice non e' piu' obbligato a disporre o a mantenere la custodia in carcere dell'indagato, ma puo' applicare misure cautelari alternative. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione dando un'interprestazione estensiva ad una sentenza della Corte Costituzionale del 2010.
In base a tali valutazioni, dunque, la Cassazione ha annullato un'ordinanza del Tribunale del riesame di Roma, che aveva confermato il carcere - ritenendo che fosse l'unica misura cautelare applicabile - per due giovani accusati di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza e ha rinviato il fascicolo allo stesso giudice perche' faccia una nuova valutazione, tenendo conto dell'interpretazione estensiva data dalla Suprema Corte alla sentenza n. 265 del 2010 della Corte Costituzionale.
A partire dal 2009, con l'approvazione da parte del Parlamento della legge di contrasto alla violenza sessuale non era consentito al giudice di applicare, per i delitti di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni, misure cautelari diverse del carcere in carcere. Secondo la Corte Costituzionale , invece, la norma e' in contrasto con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (liberta' personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione. Per questo la Consulta ha detto si' alle alternative al carcere ''nell'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfate con altre misure''.
ASCA 2.2.2012 (da Altalex)