martedì 14 febbraio 2012

Sì abrogazione tariffe. No ad azione diretta contro magistrati e Tribunale Imprese

In quest’Italia incagliata come la nave Concordia, appare incredibile che ancora non si siano zittiti gli Schettini e i Berluschini cui è imputabile il naufragio. E pure sorprende –e addolora- come un ottimo governo che esprime la migliore destra liberale sia a giorni alterni attaccato proprio da chi dal team di Super Mario dovrebbe sentirsi meglio rappresentato. Ma andiamo con ordine.
Sulla responsabilità diretta del Magistrato: Pini Gianluca (apprendiamo dal suo sito) è deputato della Lega Nord, proclamato nel 2006 in sostituzione del Bossi. Titolo di studio e occupazione: Istituto Tecnico Industriale–Imprenditore settore alimentare. Nato nel 1973 in Bologna (nel suo caso, all’evidenza, la grassa, più che la dotta), è il Pini l’autore dell’emendamento che vorrebbe –innovando l’articolo 2 della L. 117/88- introdurre la responsabilità diretta del Magistrato: norma eversiva, perché minerebbe la serenità e l’obiettività del giudizio e del giudice: col che, in luogo di un giudicato più celere e corretto, rischieremmo di avere sentenze emesse in ritardo, od ingiustamente assolutorie. E’ stato già su queste colonne bene spiegato (rispettivamente da Puleio e Rafaraci) quanto dannoso sia il contenuto dell’emendamento PINI, e come non è per nulla vero che la nuova norma sia imposta da norme comunitarie. In verità, la proposta di azione diretta contro i Magistrati risponde al solo fine di creare un conflitto permanente tra i giudicandi e i giudici: con l’annientamento dei poteri di questi ultimi, e la liberazione di ogni responsabile. Mentre, al contrario, interesse di ogni cittadino per bene –che può esser parte offesa dal reato, o comunque creditore- è che la Giustizia presto e bene funzioni per la sanzione –penale e/o civile- del responsabile. Nessuna azione diretta contro i magistrati, quindi, mentre certamente condivisibile appare l’auspicio (Busacca) di migliori formazione e funzionamento della sezione disciplinare del C.S.M. per sanzionare i magistrati che lavorano poco e male (e, pur sparuti, ve ne sono).
Riforme possibili a costo zero: Se il Pini e i suoi compari vogliono seriamente occuparsi di giustizia, penale e civile, vasto è il programma. Accelerare la soppressione di uffici giudiziari col numero inferiore di procedimenti: grazie all’accorpamento con la sede vicina sarà raggiunta e mantenuta (non ostante casi di trasferimenti, impedimenti, o incompatibilità di magistrati) la dimensione minima efficiente, con minore costo medio unitario della sentenza, ed aumento del volume di produzione. Certamente, salterà qualche poltrona, periferica ma comoda: ma ciò è imposto dalle economie di scala, bellezza! Ancora, e sempre al fine di risparmiare costi e tempi della Giustizia, si potrebbero ulteriormente semplificare i riti civili, facendo divenire il procedimento “sommario” di cognizione (che la diligenza e la preparazione dei giudici ha mostrato saper adattare alle più variegate esigenze) quello “ordinario” (per poi magari abbandonare il c.d. rito lavoro a favore del precedente). E cosa si aspetta per eliminare il Tribunale delle Acque Pubbliche?
Sul Tribunale delle Imprese. Se vere sono le premesse (ossia che la lentezza dei processi civili ci costa un punto percentuale di PIL), sbagliata ci pare l’idea del governo di creare un Tribunale delle Imprese, con enormi costi di accesso (contributo unificato quadruplicato): idea sbagliata sia nel metodo che nel merito. Ed infatti, ogni cittadino ha gli stessi diritti (e doveri), che sia imprenditore o meno: donde è già concettualmente errato che vi sia un Tribunale per categoria, peraltro più caro degli altri. Tale scelta fu tra l’altro già fatta per il Tribunale del Lavoro, scelta risultata non vincente: a dimostrazione del fatto che la Giustizia deve esser una, con rito unico, senza guardare lo status delle parti: anche perché così facendo possono crearsi zone d’ombra (sul lavoratore parasubordinato; sull’imprenditore cessato, etc.) che causano solo rimpalli di giudizi tra giudici, e quindi perdite di tempi e costi. Deve la Giustizia guardare il cittadino in quanto tale, e non in relazione alla sua (peraltro mutevole) occupazione.
Sull’eliminazione delle tariffe. Proprio perché va tutelato il cittadino in quanto tale, e quindi anche in quanto consumatore, del tutto corretta è la norma (art. 9 del c.d. decreto sulle liberalizzazioni, oggi in via di perigliosa conversione in legge) che abroga le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico (e quindi degli avvocati, notai, ingegneri etc.). E pure corretto è che, per le liquidazioni di compensi professionali da parte di un organo giurisdizionale, si prevedano dei parametri da stabilirsi dal ministro vigilante (auspicabilmente adottati dopo aver sentito l’organismo rappresentativo della categoria, in misura rispettosa del professionista, ma semplificata rispetto alle tariffe vigenti: nel caso degli avvocati, quindi, ben potrà determinarsi un importo unico omnicomprensivo per grado di giudizio, indipendentemente dal numero degli atti e delle udienze. Sul punto, dato il costo per la collettività del gratuito patrocinio, il cui evidente abuso necessita severi interventi, detti parametri dovranno comunque attestarsi significativamente al di sotto delle attuali tariffe forensi.)  La norma in commento, che segue, e migliora, la Bersani (che aveva solo abolito la vincolatività dei minimi di tariffa), sta scatenando l’ira funesta di tanti professionisti: tra questi, alcuni saranno certo in buona fede; ma altri ve ne sono che vogliono utilizzare le tariffe come armi contro clienti indifesi. (E, del resto, le tariffe forensi, o quelle degli ingegneri ed architetti, sono così complesse che spesso impossibile è, prima di un giudizio, dire quale sarà il compenso esatto: non a caso, numerosissime sono le sentenze anche della Cassazione emesse a definizione di contrasto tra il Professionista e il Cliente). Ben venga quindi l’abolizione delle tariffe, che avvantaggerà il consumatore e renderà chiaro il rapporto tra questo e il Professionista, nell’interesse di entrambi. Sorprende -e addolora- che contro l’abolizione delle tariffe si stiano movendo massimamente i rappresentanti di notai ed avvocati, questi ultimi addirittura minacciando scioperi. Quanto ai notai, essi rappresentano una categoria di stimati e ricchi professionisti, la cui media preparazione è assai elevata. La loro sopravvivenza non è quindi messa in dubbio dall’abolizione delle tariffe. Or già la c.d. Bersani (D.L. 04.07.06 n. 223) aveva abrogato i minimi di tariffa. Ma con successivo D.Lgs. 01.08.06 n. 249 i notai vedevano riconosciuta una nuova formulazione dell’art. 147 L. 89/13, per cui “è punito con … la sospensione sino ad un anno o con la destituzione, il notaio che … fa illecita concorrenza ad altro notaio con riduzioni di onorari…” Detto decreto veniva seguito dalla L. 04.08.06 n. 248, di conversione del D.L. Bersani, ma, secondo i vertici del notariato, il notaio che fa risparmiare il cliente va comunque sanzionato… Rilevante al proposito è il caso del notaro siciliano M.C., nientemeno accusato di “sottotariffazione”, ossia, per l’appunto, di richiedere ai clienti compensi inferiori alle tariffe. Or il suo consiglio notarile aveva richiesto sanzionarsi il notaro con mesi quattro di sospensione, e in giudizio aveva sostenuto che la “Bersani” non si applica ai notai, e che comunque essa è stata superata dal D.Lgs. 249/06: ma con sentenza n. 111 del 10 febbraio u.s. la Corte di Appello di Palermo, accogliendo le difese degli avvocati Vincenzo Sanfilippo e Lisa Gagliano, ha detto non responsabile il notaro, condannando il Consiglio notarile alle spese di lite. Questo per dire che devono i notai, e tutti i professionisti, non più contrastare gli interessi dei consumatori, che ben maggiore valenza hanno rispetto al nostro particulare.  Del resto, quanto a noi avvocati, se viene –come proprio previsto dalla Bersani- parametrato il compenso al risultato, anche su base percentuale, ne deriveranno utilità sia al Cliente che al Professionista (ed anche alla collettività: ed infatti, una volta che non sia garantito dalla tariffe, per l’appunto abrogate, nessun avvocato accetterà di difendere una causa manifestamente ingiusta: con conseguente diminuzione delle cause pendenti). Ora, se la causa va bene, saranno contenti e soddisfatti sia il Cliente che il Professionista, che nella causa risarcitoria (causa-tipo) si ripartiranno percentualmente il ricavato. Se invece la causa andrà male, il Cliente avrà motivo di conforto per aver risparmiato il compenso (che invece avrebbe dovuto pagare per la causa persa, nella vigenza delle tariffe): quanto all’avvocato per bene, sarà pure soddisfatto per aver lavorato onestamente, avendo fatto tutto il possibile per un favorevole risultato: ed avrà dalla sconfitta tratto preziosi insegnamenti per vincere la causa successiva. Nella quale godrà del meritato congruo compenso parametrato al risultato. 

Dario Seminara (da Mondoprofessionisti del 14.2.2012)