Con l'ordinanza 4 gennaio 2012 il Tribunale di Prato ha avuto modo di confrontarsi con la singolare fattispecie dell’interferenza fra i due distinti istituti del procedimento monitorio e del sequestro conservativo.
In breve i fatti, per come è possibile ricostruirli alla luce dell’ordinanza in esame.
Il creditore aveva proposto innanzi al Tribunale di Prato un ricorso per ingiunzione di pagamento nei confronti del proprio debitore, con istanza di apposizione della clausola di immediata esecutività ai sensi del secondo comma dell’art. 642 c.p.c. Si precisa subito, inoltre, che la richiesta di provvisoria esecutività era esperita in forza di entrambe le fattispecie disciplinate dal secondo comma dell’art. 642 c.p.c. In sostanza, il creditore adduceva sia l’esistenza di documentazione sottoscritta dal debitore (la quale, come noto, fintanto che non sia decaduto il potere di disconoscimento della parte contro cui è prodotta non integra prova documentale e, oltre ad essere idonea a fondare prova scritta ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo, consente comunque al giudice – pur senza obbligarlo - di disporre la provvisoria esecutività), sia la sussistenza di una situazione di fatto dalla quale sarebbe rilevabile il rischio di un pregiudizio irreparabile in capo al creditore qualora non fosse disposta la provvisoria esecutività.
Il giudice del procedimento monitorio aveva quindi rilasciato un provvedimento di accoglimento del ricorso, ma privo di immediata esecutività.
Il creditore, a fronte dell’impossibilità di eseguire immediatamente il decreto ingiuntivo emesso a proprio favore, ancor prima di notificare il decreto, si è rivolto nuovamente al Tribunale di Prato per ottenere l’emanazione di un provvedimento cautelare: esso ha cioè proposto ricorso ex art. 671 c.p.c. al fine di ottenere un sequestro conservativo delle somme di denaro già oggetto dell’impugnazione di pagamento (in realtà la somma risulta diversa, in quanto nel frattempo erano maturati nuovi crediti, ma ciò non risulterà rilevante ai fini del decidere, trattandosi comunque della medesima causa petendi rispetto alla domanda esperita in fase monitoria).
Ora, conviene ricordare come l’art. 671 c.p.c., prevede che “Il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, puo' autorizzare il sequestro conservativo di beni mobili o immobili del debitore o delle somme e cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento.”
In sostanza, il creditore, prima di notificare il decreto (che non era esecutivo) ha depositato un ricorso per ottenere il sequestro conservativo delle somme di denaro a tutela del credito già azionato in via monitoria.
A fronte di tale scenario processuale, il Giudice pratese si è trovato a dover risolvere, anche a fronte delle difese del debitore costituitosi in sede di procedimento cautelare, due diverse tematiche: (i) la natura del ricorso proposto, ossia se fosse ante causam o meno, ai fini di determinare la propria competenza; (ii) i limiti di ammissibilità del sequestro conservativo a fronte della già richiesta emissione di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo.
A quanto emerge dalla ricostruzione operata dal giudicante, la prima questione era conseguente alla formulazione di una eccezione di incompetenza da parte del resistente, il quale avrebbe ritenuto che, essendo già pendente la controversia (a seguito del deposito del ricorso per ingiunzione) la competenza per il giudizio cautelare sarebbe in capo al Presidente del Tribunale di Prato (peraltro intendendo tale organo come il giudice innanzi al quale sarebbe pendente la lite).
Nel risolvere tale questione, il Giudice ha avviato il proprio ragionamento considerando che la proposizione del ricorso per ottenere il sequestro conservativo era intervenuta prima della notificazione del decreto ingiuntivo. In forza di ciò, il Giudice ha applicato in modo letterale il disposto dell’art.643 c.p.c. a mente del quale “La notificazione [del ricorso e del pedissequo decreto ingiuntivo] determina la pendenza della lite.” In conseguenza di tale ragionamento, il Giudice ha coerentemente ritenuto che il ricorso fosse da qualificarsi come ante causam, rigettando l’eccezione di incompetenza formulata dal resistente.
Ora, al riguardo potrebbe osservarsi – contrariamente a quanto osservato dal giudicante – che sebbene la disposizione codicistica parrebbe risolvere ogni problematica della determinazione del momento a partire dal quale vi è pendenza della lite, collegando tale momento alla notificazione del ricorso e del pedissequo decreto emesso in accoglimento di esso, l’interpretazione di essa fornita dalla giurisprudenza, in riferimento a vari istituti processuali, proprio in ordine al momento in cui si determina la pendenza della lite, non pare del tutto lineare con il tenore letterale della disposizione normativa.
In altri termini, può notarsi come dottrina e giurisprudenza abbiano selezionato una serie di tematiche connesse al momento in cui si instaura la lite rispetto alle quali talvolta viene preso a parametro temporale di riferimento la notificazione del ricorso e del decreto, mentre, talaltra volta viene preso a riferimento la proposizione della domanda in sede monitoria, ossia il deposito del ricorso in cancelleria.
Ora, proprio in riferimento a quella che potrebbe risultare la fattispecie maggiormente similare a quella oggetto della controversia in questione, ossia quella della sussistenza di due giudizi in rapporto di continenza l’uno con l’altro, le Sezioni Unite, con pronuncia n. 20596 del 2007, hanno avuto modo di sanare un conflitto insorto fra le diverse Sezioni, giungendo ad affermare che in ipotesi in cui vi siano due procedimenti in rapporto di continenza l’uno con l’altro ed uno di essi sia stato avviato nelle forme del procedimento di ingiunzione, per l’individuazione della causa previamente instaurata avrà rilievo la data di deposito del ricorso (e non quella di notificazione). E nell’esporre tale affermazione di principio, o meglio, per giungere a tale statuizione, le Sezioni Unite ricordano come nell’applicazione di molti istituti sia proprio la data di deposito del ricorso ad assumere il ruolo decisivo.
Potrebbe dunque ritenersi che, sotto questo aspetto, la decisione del Giudice pratese possa essere non condivisibile. Tuttavia, non può esimersi dallo svolgimento di ulteriori considerazioni in forza delle quali, da un lato, sembra logico dedurre la correttezza del ragionamento del Giudice ma, dall’altro, svelare una qual certa contraddittorietà della decisione annotata. Infatti – al di là delle eccezioni di incompetenza formulate da parte resistente – una delle conseguenze del ritenere che il giudizio finalizzato all’ottenimento del sequestro conservativo fosse ante causam o meno è il regime delle spese di lite. Al riguardo si ricorda che ai sensi del secondo comma dell’art. 669 septies: “Se l’ordinanza di incompetenza o di rigetto è pronunciata prima dell’inizio della causa di merito, con essa il giudice provvede definitivamente sulle spese del procedimento cautelare”.
In sostanza: ritenendo il giudizio finalizzato all’ottenimento del sequestro ante causam, il rigetto del ricorso avrebbe dovuto comportare la liquidazione delle spese legali; in caso contrario, il giudice avrebbe dovuto rinviare al merito la definizione delle spese di lite per la fase cautelare. Invece, il Giudice – in modo poco lineare – dopo aver statuito la natura ante causam del ricorso (sul presupposto, come visto, che il ricorso per ottenere il sequestro era stato depositato prima della notifica del decreto ingiuntivo già emesso), lo ha rigettato rinviando però al merito la definizione delle spese legali.
Tale ordine di ragionamenti, tuttavia, induce a svolgere un’ultima osservazione di carattere più generale: rinviare al merito la definizione delle spese di lite (cosa che presuppone la pendenza della lite) significa, né più né meno, che nel giudizio avviato con l’opposizione a decreto ingiuntivo si tratterà del tema delle spese legali maturate in sede cautelare. Ma tale giudizio di opposizione, in linea teorica, potrebbe anche non venir mai celebrato (poco importando a livello di ricostruzione generale se, nel caso di specie, fosse già pendente tale giudizio). Ecco allora che sembrano sussistere ragioni di ordine sistematico per le quali, da un lato, le spese legali avrebbero dovuto essere liquidate immediatamente a fronte della soccombenza del ricorrente ma, dall’altro lato (e qui in parte condividendo l’affermazione del Giudice pratese, il quale però non è stato conseguente a tale impostazione nella liquidazione delle spese di lite) nella peculiare fattispecie di cui trattasi solo a seguito dell’instaurazione del giudizio di opposizione può ritenersi che il giudizio cautelare non sia ante causam, a prescindere dalla notificazione del decreto: pena, altrimenti, la completa vanificazione delle disposizioni di cui al secondo comma dell’art. 669 septies sopra citato. Per meglio chiarire: chi scrive ritiene che la pendenza della lite, stante il carattere sommario del giudizio monitorio e la mera eventualità che sia instaurata la fase a cognizione piena pur dopo la notificazione del decreto ingiuntivo, almeno ai fini dell’applicazione dell’art. 669 septies in tema di liquidazione delle spese legali dovrebbe portare a ritenere che solo dopo l’opposizione possa ritenersi pendente una lite nel cui ambito siano valutabili le questioni inerenti le spese legali della fase cautelare. Così ragionando, peraltro, sembra maggiormente coerente anche lo sviluppo logico relativo al secondo aspetto di cui si tratterà nel prosieguo: ossia che la valutazione sulla sussistenza di esigenze cautelari, in ipotesi di pendenza del giudizio a cognizione piena, sarà svolto dal medesimo giudice chiamato a decidere sulla provvisoria esecutività ai sensi dell’art. 648 c.p.c. Mentre, qualora non sia instaurata alcuna opposizione non vi sarà alcuna necessità di fase cautelare avendo il decreto già acquisito l’esecutività e qualora – come nel caso di specie – l’opposizione non sia stata ancora proposta, il giudizio cautelare, anche dopo la notificazione del decreto ingiuntivo, dovrebbe considerarsi ante causam.
Tutto questo, peraltro, proprio sulla base del medesimo ragionamento sviluppato in modo assai convincente dal Giudice: ossia che il giudizio cautelare instaurato dal creditore – a prescindere dalla data di notificazione del decreto - non potrà che riguardare soltanto fatti sopravvenuti rispetto alla proposizione del giudizio monitorio e dunque, verterà su una fattispecie diversa rispetto a quella oggetto del giudizio monitorio (mentre, dopo l’opposizione, come noto, si avvierà un procedimento che avrà ad oggetto l’intera posizione giuridica e dunque la fondatezza della pretesa del creditore, e non soltanto la mera valutazione della correttezza della decisione del giudice del procedimento monitorio).
Svolte tali osservazioni di carattere preliminare, è poi possibile affrontare il secondo tema della pronuncia, ossia quello dell’interferenza fra i due istituti del sequestro conservativo e del giudizio monitorio.
Al riguardo, a parere di chi scrive, non può che notarsi con favore l’analitica ricostruzione degli istituti di rilievo operata dal giudicante. Il Giudice ha infatti, dapprima, ricordato le specificità inerenti la concessione della provvisoria esecutività del decreto ai sensi del secondo comma dell’art. 642 c.p.c., onde poi calzare tale ragionamento sulla circostanza concreta secondo cui il sequestro conservativo potrebbe interferire con la valutazione effettuata dal giudice del procedimento monitorio soltanto in riferimento ad uno degli aspetti di cui alla disposizione citata.
In sostanza, il Giudice ha ricordato come ai sensi del secondo comma dell’art. 642 c.p.c. la provvisoria esecutività possa essere concessa sulla base di elementi probatori particolarmente rilevanti, oppure sulla base di una situazione di fatto che espone il creditore ad un grave pregiudizio. Posta tale distinzione, ricorda altresì il Giudice che il sequestro conservativo, avente natura cautelare, può essere concesso soltanto per prevenire il rischio di un pregiudizio per il creditore: solo in questi termini, dunque, sussiste una possibile interferenza fra i due istituti, a niente rilevando l’aspetto probatorio del credito azionato, in quanto soltanto sotto il profilo della sussistenza di un rischio per il creditore vengono in rilievo aspetti di natura cautelare dell’istituto del procedimento monitorio.
Come conseguenza logica di tale ricostruzione, il Giudice ha affermato dunque che, al fine di evitare una surrettizia riforma della statuizione del giudice del procedimento monitorio – ed in coerenza con il principio di immodificabilità della decisione sulla provvisoria esecutività fino all’udienza di trattazione ad istanza del creditore (ed infatti il codice prevede soltanto che il debitore potrebbe chiedere la sospensione dell’esecutività ai sensi dell’art. 649 c.p.c., ma non che il creditore possa chiedere l’esecutività negata) – potranno avere accesso al giudizio così incardinato dal creditore per ottenere il sequestro conservativo soltanto valutazioni inerenti fatti nuovi, intervenuti successivamente al deposito del ricorso per ingiunzione.
Tutto ciò, peraltro, in linea del tutto coerente con la circostanza secondo cui l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 648 c.p.c. risulta essere non solo inoppugnabile, ma anche irrevocabile da parte del giudice che ha emesso tale provvedimento. In altri termini poiché l’ordinanza ex art. 648 c.p.c. non è modificabile neppure da parte del giudice che l’ha emessa, anche il provvedimento ex art. 642 c.p.c. dovrebbe essere parimenti immodificabile, se non nei limiti di cui all’art. 649 c.p.c., ossia in modo favorevole per il debitore.
Ciò con l’ulteriore considerazione che se nessuna nuova valutazione può essere posta in essere dal giudice del procedimento monitorio, tanto meno pare possibile per il creditore rivolgersi ad altro giudice (o ad altro magistrato del medesimo ufficio giudiziario) per ottenere una riforma della decisione già assunta sotto il profilo della sussistenza di elementi di fatto tali da comportare una tutela cautelare per il creditore.
Peraltro, come convincentemente sottolinea il Giudice pratese, è proprio il creditore che, nel momento in cui sceglie di agire a tutela dei propri diritti nelle forme del giudizio monitorio, determina che i profili cautelari involgenti la propria posizione saranno valutati nei termini di cui all’art. 642 c.p.c., il quale garantisce, sotto questo profilo, la coerenza del sistema ai precetti costituzionali inerenti il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.
Nel valutare, poi, le circostanze di fatti addotte dalle parti, il Giudice ha ritenuto che nel caso concreto non vi fossero nuovi fondati elementi rispetto alla situazione di fatto in essere al momento della proposizione della domanda monitoria, rigettando dunque il ricorso nel merito.
(Da Altalex dell’8.2.2012. Nota di Riccardo Bianchini)